Momenti indimenticabili

Ho in testa da un paio di giorni le parole con cui Giovanni De Mauro concludeva il suo editoriale di Internazionale della settimana scorsa. A proposito della permanenza in rete di certe notizie e informazioni, parlava di “un diritto sacro per ogni essere umano: il diritto all’oblio”.

È stata la parola “sacro” a colpirmi per prima: se esistono dei diritti “sacri” e dei diritti magari meno sacri, ma sempre diritti, può darsi che il “diritto all’oblio” sia addirittura tra i primi? Sacro? E così pensando sono andato avanti: ed è poi davvero un diritto? L’essere dimenticati, o veder dimenticato il proprio passato?
Non so, capisco che possa essere un desiderio, una legittima speranza, in alcuni casi. Sono d’accordo che può capitare che l’oblio sia per alcune cose uno stato più apprezzabile e piacevole del loro ricordo. Ma addirittura un diritto? Con la conseguenza che per gli altri sarebbe un dovere?

Eppure, il “diritto all’oblio” è un’espressione convincente, affascinante. Non fosse per la sua vistosa contraddizione con un altro atteggiamento culturale molto promosso in questi decenni: “la “necessità di ricordare”, i “giorni della memoria”, i “non bisogna perdere la memoria”, i “per non dimenticare”.
Mettetevi d’accordo, verrebbe da dire.

Ho provato a trovare una soluzione concettuale e raffinata di questa contraddizione, ma alla fine mi sono lasciato convincere dalla più superficiale: ovvero che ci sia un potere evocativo, retorico e poetico, nelle parole “memoria” e “oblìo”, che fa innamorare delle solenni espressioni che li contengono. Se De Mauro – o gli altri che hanno fatto ragionamenti simili, lo sto usando come esempio proprio perché è un amico di cui ho stima sperticata – avesse detto “il diritto al dimenticatoio”, l’accezione negativa di quel quasi sinonimo avrebbe reso molto meno convincente l’espressione. E così vale per l’effetto suggestivo della parola “memoria”, che evoca collane Sellerio e canzoni di Barbra Streisand, e certo non l’assillo inesorabile sul passato che pure contiene. Il “ricordo” è bello, per definizione (mentre il souvenir è stato sputtanato da quei negozietti) e solo l’oblio può essere bello altrettanto, essendone l’opposto.

Ecco. Sospensione del culturale, principia a avviare il ricreativo.

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