Quattro anni fa

Perché fu importante la vittoria di Barack Obama, anche da qui, come lo raccontai in Un grande paese.

Avevo passato la notte che Obama era diventato presidente degli Stati Uniti assieme a un gruppo di amici tra i trenta e i quarant’anni. Alle cinque del mattino ci eravamo abbracciati e avevamo brindato. Avevamo scherzato un po’ sull’ultima gioia di questo genere di cui ci ricordavamo – i Mondiali dell’82, ma alcuni erano troppo piccoli – e avevamo quindi convenuto che questa fosse la cosa più bella capitata al nostro mondo dal 1989, era novembre anche allora. Qualche ora prima, la tensione della vittoria che non arrivava ancora era stata alleggerita da un servizio di Porta a Porta che si apriva sulle «somiglianze tra Obama e Berlusconi» e proseguiva sostenendo che tra i primi sostenitori di Obama in Italia c’erano stati i ministri Sandro Bondi e Maria Stella Gelmini. Era stato il più clamoroso momento di incongruenza tra quanto stava accadendo davvero e le persone che lo commentavano in televisione: il mondo com’è e l’Italia come si mostra. La vittoria di Barack Obama, quella notte, era stata la prima grande gioia storica della generazione dei trentenni. Gli osservatori tradizionali nel circo italiano l’avevano paragonata alla caduta del Muro, allo sbarco del primo uomo sulla luna, o persino – e non erano pochissimi – alla fine della guerra mondiale. Passioni a cui parteciparono, eventi che avevano travolto le loro vite e le loro emozioni, ormai corrose dall’età e dal disincanto nel momento in cui un nero diventava presidente degli Stati Uniti. Avevano fatto ricorso a tutto il loro repertorio di esperienze e di cliché per analizzare quello che era successo quella notte: ma semplicemente non era più roba loro. La vittoria di Barack Obama era di quelli che avevano l’età di Barack Obama, e di quelli che ci avevano investito tutte le speranze e gli altruismi che fino ad allora non avevano mai avuto l’occasione di tirar fuori e che il tempo non aveva ancora sbriciolato. Loro lo capivano e appartenevano a quello che stava succedendo, alla retorica sincera della speranza e del migliorare il mondo che era nei suoi discorsi, alla modernità che era stata nella sua campagna, alla leggerezza poco pomposa che stava nelle sue discrete consapevolezze, a una comunicazione fatta di immagini e condiviso interesse per il futuro. Erano loro che quella nottata l’avevano seguita sui blog e in rete, che si erano congratulati con migliaia di mail, che avevano festeggiato assieme dai quattro angoli del mondo; che avevano saputo cogliere il senso di ogni nuovo dato e non si erano fatti ingannare da notizie sbagliate o male interpretate, come nel frattempo avveniva nei talk show televisivi¹. Erano loro che si erano abbracciati, quella notte, ed erano stati felici di una cosa che neanche li riguardava, a giudicarla con lo sguardo distaccato dei loro padri. Felici di una gioia vera, buona, lieve delle soddisfazioni incattivite e «contro» che gravano spesso sugli altri eventi con cui hanno a che fare. Non era per la sconfitta di Bush, che erano felici, né per lo smacco dei bianchi razzisti: e il rivale McCain lo avevano persino apprezzato e molto. Erano invece felici perché questa era una cosa che sentivano finalmente dentro il loro tempo, una cosa che era come loro, e che conoscevano. Il mondo di fuori adesso sembrava assomigliare al loro mondo, la vita del mondo alle loro vite, non erano più controcorrente: almeno fino a che non avessero rimesso testa e piedi sul suolo italiano. Obama era uno di loro, e uno dei migliori. Quella notte avevano messo piede sulla luna anche loro, finalmente. Ed era tutta un’altra luna.

¹ Per più di un’ora la tv italiana aveva dato la Virginia a McCain, sbagliando. Intanto, nella matura redazione online di un quotidiano italiano si aggiornavano i dati ricopiandoli freneticamente a matita dalle schermate televisive e poi inserendoli sul sito.

 

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8 commenti su “Quattro anni fa

  1. pierlu

    Vado controcorrente, scusatemi.

    Benchè anagraficamente più sui 30 che sui 40 all’epoca dell’elezione di Obama, mi associai, e tutt’ora mi associo, allo sguardo distaccato dei padri. Simbolicamente è stata una cosa bella, vuoi mettere l’american dream? Ma appunto, è stato come vedere un film. Praticamente, però, l’elezione del presidente americano non è cosa di cui sensatamente possiamo gioire: il presidente degli stati uniti sarà sempre il presidente degli stati uniti, non il presidente del mondo e pertanto si occuperà degli interessi degli u.s. non degli interessi del mondo. Se il presidente degli stati uniti (nero, bianco, giallo, verde, rosa) si interessa dell’italia è per proteggere gli interessi degli stati uniti, non per ripristinare i sogni infranti dei quarantenni.

    Ho partecipato al comizio improvvisato a piazza del Pantheon dal PD subito dopo l’elezione di Obama: pareva che fosse una vittoria anche italiana. Mi ha fatto tristezza vedere quel giubilo, perchè mi sembrava un giubilo di frustrati. Qui da noi, politicamente, non si capiva un’h e festeggiavamo per una cosa che non ci riguardava se non indirettamente semplicemente perchè finalmente avevamo visto il film del nero che diventa presidente? Il partito democratico americano non è il partito democratico italiano, eppure si voleva fare passare sta vittoria come anche nostra; la considerazione implicita che il fatto di condividere il nome fosse garanzia per noi di modernità, mi sembrò assoluta demagogia. E infatti si vide in seguito come finì…

    Personalmente, mi è parsa una più bella serata quella dell’anno scorso, era sempre novembre… o forse ancora di più l’altra notte del 2006, in cui si era in piazza a contare i voti che per una manciata stabilivano l’alternanza. Magari meno scenografiche entrambe le situazioni, ma ho sentito l’aria che cambiava in modo più netto per me. E le ricordo entrambe con maggiore piacere che la notte di novembre di 4 anni fa.

  2. george kaplan

    Obama presidente è più importante per ciò che rappresenta, piuttosto che per ciò che è.
    Se la vediamo in questa luce, allora i festeggiamenti hanno un senso. Per il resto no.
    Poi, ci mancherebbe, ognuno è libero di festeggiare ed emozionarsi per ciò che vuole.

  3. atlantropa

    Howdy Wittgenstein,
    solo per dire che uno che gioisce per la vittoria di Obama nello stesso modo in cui ha gioito per quella del mundial forse farebbe meglio a lasciar perdere le cose serie e limitarsi a parlottare di cose ‘merigane.

  4. pifo

    La letteratura blogger (elettronica o stampata) si nutre ormai di modelli funzionali immutabili, di “inconsci collettivi” che attraverso l’elevazione della scrittura e dell’ archetipo narrativo ripetuto a mantra, diventano o vengono percepiti come “individuali”:
    “qualsiasi evento, sia esso l’elezione di un presidente black o la vittoria nel gioco del pallone, parla di me”
    ( o di quei “loro” ai quali appartengo).

    Saluti

  5. saintex

    Anch’io rientro nella fotografia dei 30/40enni che hanno gioito per la vittoria di Obama quattro anni fa.

    E’ vero che si tratta del Presidente americano e non nostro, ma è anche vero che noi siamo una Provincia (nel senso degli antichi Romani) oppure una colonia (nel senso degli Inglesi dell’ ‘800) dell’Impero: un impero basato modernamente sul commercio e sul potere economico, piuttosto che soltanto sul potere militare, che anzi oggi tende a venir nascosto; per questioni di immagine e diplomazia non è infatti fine e di buon gusto mostrare sempre i muscoli.

    Dunque l’elezione americana è una cosa che ci riguarda, perché le decisione degli USA influenzano le nostre vite e la nostra politica.
    Aggiungerei che la vittoria di Obama fu un sospiro di sollievo dopo 8 anni di Bush, dopo le due Torri, la guerra all’Afghanistan, quella all’Iraq, la fabbricazione delle false prove sulle armi chimiche, Guantanamo, i protocolli di Kyoto non firmati (neanche poi da Obama, mi sembra) e tante altre chicche. Quante altre cose ancora potevamo sopportare?
    Ma gli anni di Bush furono anni economicamente prosperi, anche se personalmente mi trovavo in disaccordo con ogni grande decisione che prendeva.
    La Finanza andava a gonfie vele, proprio soprattutto per via dell’economia (drogata) della guerra e per le politiche sul petrolio.
    L’amministrazione Bush era risuscita, inscenando una guerra, a dare un colpo di reni e ad uscire dalla crisi che era nata nel 2000-2001 dopo lo scoppio della bolla internet.
    Il benessere dell’economia e della finanza USA si espandeva sugli altri paesi del G20 e portava un benessere diffuso.

    Dopo 4 anni di Obama devo dire che provo un senso di delusione rispetto alle mie aspettative.
    Una sensazione che a livello globale Obama non abbia fatto gran che: c’è un Nobel per la pace (sostanzialmente immeritato), due guerre che sono continuate (Iraq e Afghanistan), nessuna grande decisione che abbia cambiato il mondo.
    Ma gli anni di Obama sono anche quelli della crisi: prima finanziaria, poi dell’economia reale, che è partita dall’America, si è attaccata ai mutui americani, e poi si è diffusa in Europa (attraverso il contagio del debito).
    C’è da dire che bisognerebbe vedere come sarebbero andate le cose, se non ci fosse stato Obama al governo USA: forse un Bush avrebbe preso altre strade, che ci farebbero stare meglio o peggio. Ma questa è fantapolitica e su questo non si può ragionare.
    In poche parole, mi è sembrato che Obama durante il suo governo abbia tenuto un basso profilo.

    Dopo quattro anni, personalmente ho vissuto un senso di aspettativa delusa; e devo dire che durante queste elezioni si annidava il dubbio (contrario ai miei principi) sul chissà come sarebbero potute cambiare le cose, se al governo USA ci fosse poi stato Romey al posto di Obama. Avrebbe intrapreso delle azioni più incisive?
    E mi rendo conto che questa sensazione e questo dubbio è correlato in massima parte con la crisi, con la voglia di uscirne e la speranza di avere una guida globale forte che trovi la direzione giusta.

    Parlando con mio padre, che di anni ne ha quasi 70, non 30 o 40, ho notato che anche lui pensava le medesime cose (ma l’uno è padre e l’altro è figlio, anche se oramai abbiamo vite separate, dunque è più naturale che le opinioni siano condivise).

    Mi chiedo davvero quanto questa sensazione di un certo disagio per un’aspettativa delusa sia condiviso da altri.

  6. Pingback: La vittoria di Obama « Il Blog di Wolfgang Cecchin

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