Blèroblèroblèro…

Nel crescente disprezzo di lettori, potenziali lettori, ed ex lettori per i giornali italiani c’è molto qualunquismo e conformismo antintellettuale e anti-siete-tutti-uguali (sempre gli altri, però) ma ci sono anche solide e motivate ragioni che i giornali hanno offerto per anni a questi sentimenti, così come è successo alla politica: vaglielo a dire, poi, che non sono tutti ladri, che non sono tutti cialtroni, che non raccontano tutti balle (anzi, quelli più creduti risultano proprio quelli che aizzano tali sciatterie di giudizio).
Tra queste ragioni – sono le più varie, replicate ogni giorno e individuabili a una lettura qualunque di quotidiani – una piccola ma esemplare ha a che fare con le risposte che i giornali ritengono di pubblicare alle critiche e alle obiezioni di chi è coinvolto in quello che viene scritto. Malgrado i giornali si facciano un vanto della loro disponibilità ad accettare rettifiche, correzioni, dissensi – e anzi, la “rettifica” sia una specie di alibi e foglia di fico esibita a dimostrazione della possibilità di emendamento dell’errore – quando qualcuno chiede a un giornale di ospitare le proprie obiezioni, smentite o spiegazioni su ciò che è stato scritto di lui, sa che nella maggior parte dei casi (non sempre: oggi la Stampa pubblica senza fiatare la smentita di Bruno Becchi a un titolo inventato) la sua decisione di intervenire e dire la sua gli si ribalterà contro. Per via dell’infantile e scorretta abitudine del giornale di avere l’ultima parola anche quando questa parola è del tutto vuota: però è irridente, sminuente, e “tanto ho ragione io, gnegnegné”. Così, capita spessissimo di leggere lettere di persone che – avendo ragione o no: ma se non ce l’ha si dovrebbe spiegare ai lettori perché – propongono le loro versioni a smentita, completamento e bilanciamento di ciò che è stato pubblicato, a cui viene opposta in modo prepotente e scorretto, non una controrisposta che a sua volta contesti le cose sostenute, ma una semplice formula saccente e ammiccante, che allude, sfotte, non dice, e in sostanza alimenta nei lettori l’idea che alla fine fatti e sostanza siano irrilevanti: tanto vince chi ha l’ultima battuta dalla parte del manico, anche se è un pigro e contraddittorio “Le sue parole si commentano da sole”.
E questo suggerisce a chiunque trovi scritte delle cose non vere o che ritiene lo calunnino, di lasciar perdere: tanto si sa come va a finire e chi avrà l’ultima parola che aggiungerà ridicolo al torto. Poi magari, gli stessi che formulano quelle risposte gratuite e capricciose, sono quelli che si indignano per le prepotenze e vacuità verbali dei talkshow televisivi. (i due esempi che seguono, tra i molti e frequenti, non sono peggiori né migliori di altri: sono esempi).

 

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