Cani da guardia

Nella lunga e ricca intervista che Salvatore Merlo del Foglio ha fatto a Carlo De Benedetti, quest’ultimo a un certo punto spiega che cosa sia secondo lui il suo quotidiano, Repubblica.

“Il severo e talvolta impietoso ‘watch dog’ del potere. Ricordiamoci che Repubblica è stata contro un certo modo d’essere democristiani, poi è stata contro Craxi, in fine è stata contro Berlusconi. E’ il giornale che ha denunciato, in tutte le sue forme, il disprezzo di Berlusconi per ogni regola istituzionale. Guardi, Repubblica è sinonimo di battaglia politica e civile”

Mi è rimasta in testa tutto il giorno quell’espressione, “watch dog”, un modo di dire antico e da tempo esportato come si vede anche fuori dalla lingua inglese; che ormai è tanto comune da generare la stessa reazione di molte altre frasi fatte o cliché: che uno non pensa più al suo significato reale, ma solo a quello metaforico.
Infatti ci ho messo qualche ora a realizzare che se “watch dog” significa cane da guardia, allora il suo uso metaforico deve aver compiuto uno scarto, a un certo punto. Un cane da guardia infatti sorveglia qualcosa da eventuali malintenzionati (che non riesce sempre a distinguere benissimo, come sanno i postini). Quindi, in questo caso, il “cane da guardia del potere” può essere due cose: o un cane che protegge il potere dai malintenzionati – ma escluderei che De Benedetti, e gli altri utenti del modo di dire in ambito giornalistico, intendano questo -, o un cane che protegge qualcosa dal potere, il quale potere è quindi il malintenzionato (rimuoviamo qui i dubbi sul diffuso uso generico e demagogico della parola “potere”).

In realtà, ora che ci riflettiamo, non è a nessuna delle due cose che ci si riferisce quando si dice così: quello che si vuol dire è che un giornale, o il giornalismo in genere, deve essere una specie di sorvegliante nei confronti di qualcuno: di secondino nel peggiore dei casi, di guida e controllore nel migliore. Bada al singolo ladro (tant’è vero che lo ha già individuato, “il potere”), non alla potenziale refurtiva. Non è lì per impedire un attacco di nemici esterni, ma per tenere a bada che nessuno all’interno si comporti male. Non è un cane da guardia, ma piuttosto una via di mezzo tra un cane da cieco e uno di quei cani usati per intimorire i prigionieri: insomma, non è la metafora giusta – volendo rimanere nello stesso ambito, forse “tenere al guinzaglio il potere” avrebbe più senso – ma evidentemente a qualche punto della storia qualcuno l’ha introdotta e poi nessuno si è più fatto domande.

Anche perché per fare il cane da guardia, devi avere avuto un’investitura: qualcuno ti deve avere mostrato la casa e averti detto “bada che nessuno la tocchi”: un giornale che si vede “watch dog” invece si nomina protettore di un’idea arbitraria di bene comune dagli attacchi del “potere” (che viene descritto malintenzionato e malfattore per definizione). Con due rischi. Il primo è quello che riguarda ogni ruolo poliziesco: di vedere ovunque il male e dare per scontato di essere il bene (un giornale “sinonimo di battaglia politica e civile” difficilmente aiuterà a capire il mondo). Il secondo è di trasformarsi esso stesso – molto più pretestuosamente del potere politico, che almeno è legittimato democraticamente – in un potere assai maggiore: come sanno i postini, che la posta la devono consegnare. È infatti abbastanza indiscutibile che – viste le sorti recenti delle nostre classi politiche – le nostre classi editoriali e giornalistiche abbiano dimostrato di essere molto più immuni a essere messe in discussione o sotto accusa, o a prendersi responsabilità o rischi. L’impressione – a leggere autocelebrazioni come queste – è di un potere che si pensi dobermann, più che pastore.

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4 commenti su “Cani da guardia

  1. egine

    Troppi cani in questo post,, che approfitta di un cave canem, per ripetere ciò che hai gia scritto molte volte,
    “È infatti abbastanza indiscutibile che – viste le sorti recenti delle nostre classi politiche – le nostre classi editoriali e giornalistiche abbiano dimostrato di essere molto più immuni a essere messe in discussione o sotto accusa, o a prendersi responsabilità o rischi.”

  2. Qfwfq71

    Ma poi diciamocelo.
    Anche senza entrare nel dettalgio lessicale.
    Anche volendo accettare il senso che viene comunemente attribuito all’affermazione di De Benedetti, se c’è un ruolo che Repubblica non svolge è priprio quello di “Watchdog”

  3. Julian B. Nortier

    Riusciremo a leggere qualche post di “Wittgenstein” in cui la critica alla carta stampata non sia in maniera sostanzialmente unidirezionale(cioè ,La Repubblica)? Uhm,diffido.
    Comunque il “cane da guardia” dell’informazione è invece chiaro che è un autoinvestitura ,sempre:la Rai che dice di fare Servizio pubblico(sic),in primis.Spetta ovviamente alla larga platea degli utenti,specie quelli alfabetizzati e di buona cultura,capire se questo venga messo in atto fattualmente o ci si limiti solo alle solite-stucchevoli,stantie-dichiarazioni di principio.
    La Repubblica è un ottimo quotidiano,e se dimenticasse la sua vocazione(non goethiana) al neopiddinismo d’accatto sarebbe molto meglio.Ma, d’altronde, è la stessa critica che si può fare a questo blog.Solo che il Sofri è renziano,smaccatamente; Repubblica da un anno o poco più osciilla tra la sinistra piddina e l’ecumenismo dem alla Veltroni.E per un quotidiano non è una buona cosa,il cerchiobottismo.Ma è questo un difetto da cui i grandi quotidiani nostrani-Rep.-Stampa-Corsera- non si esimono.In questo molto conformi alla massa delle persone pensanti,più o meno(il più o meno è riferito a “pensanti”,non a “conformi”…).

  4. Robertodapisa

    In un’Italia sempre più isolata e lontana dalle reali dinamiche dell’economia globale c’è un premier che si racconta e ci racconta favole, ma, ancora peggio, ci sono media che di fatto assecondano il potere, commettendo a mio parere un crimine ideologico: non urlare che il re è nudo, dati alla mano.

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