“Cosa stai dicendo, Willis?”

Da spettatore, mi annoio quasi sempre con i talkshow televisivi. Qualche volta ne esce qualcosa di interessante, ma in generale soffrono tutti di un limite comune: nessun intervistatore pare in grado di contraddire gli ospiti, di discuterci seriamente. C’è il modello Porta a porta, in cui l’ospite è sacro; e c’è il modello Ballarò, in cui Floris fa ottimamente il suo lavoro di gestore della conversazione. A Otto e mezzo va un po’ meglio, ma col rischio contrario: che nessuno contraddica il conduttore. A Matrix, se un ospite dice fesserie, al massimo rimedia una battuta. Per il resto, anche Lucia Annunziata si è di recente arresa all’evasività dell’ospite Dell’Utri rinunciando garbatamente.

So di dire una cosa impopolare, ma io penso per esempio che in televisione non solo sia lecito interrompere, ma che sia addirittura indispensabile per salvare le discussioni. Non si può permettere a un ospite di costruire un ragionamento di dieci minuti a partire dalla tesi che gli asini volano, protetto dal “mi lasci finire”. Appena lui dice che gli asini volano, lo si interrompe e gli si dice: “col cavolo”. Gli si dice: “me lo dimostri”. Eccetera.

Ma anche se qualcuno si disponesse a un contraddittorio serio, c’è un ostacolo innegabile. E adesso mi metto nei panni del conduttore. L’ostacolo è dato proprio dai troppi talkshow accomodanti. Gli ospiti possono andare in televisione ovunque: e quindi se vedono che la tua è un’intervista seria e incalzante, da te non ci verranno. Chi glielo fa fare? E tu ti troverai a incalzare delle mezze calzette che non se le piglia nessuno.

La vita, è fatta di compromessi.

Vanity Fair

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