La storia l’avete probabilmente letta, la settimana scorsa. A Londra, un giovanotto nero e rotondo è andato alla sede della BBC per un colloquio di lavoro, e nella concitazione dei dietro le quinte è stato scambiato per un esperto di musica online che doveva essere intervistato in un programma. Lo hanno truccato e preparato – a lui pareva un po’ strano, per un colloquio – e lo hanno mandato in studio. Quando si è accorto dell’equivoco, era troppo tardi, e poi non era sicuro che non fosse una specie di esame. Così ha risposto per alcuni minuti alle domande della conduttrice, in diretta, e se l’è cavata dignitosamente.
Le considerazioni su cosa questo significhi per l’intercambiabilità dei pretesi esperti televisivi, sono fin troppo facili. Possiamo invece fermarci a sancire che anche nella televisione italiana, l’accessibilità alle trasmissioni è cresciuta tantissimo, altro che quarto d’ora di celebrità. Una volta apparire in tivù era un privilegio quasi irraggiungibile di caste elette. Anche quando aumentarono i programmi con persone vere – prima ancora dei reality – le opportunità erano limitate. Un mio amico, all’università, approdò a una puntata del Gioco delle coppie e fu un evento per mezza città. Adesso, ogni giornata televisiva è affollata da sconosciuti e protagonisti usa e getta. Agli ingressi delle sedi Rai di Roma e Milano le receptionists sono sfinite da legioni di ospiti, pubblico, figuranti. I veri snob sono notoriamente quelli che non ci vanno, in tivù. Anzi, da oggi, quelli che ci vanno al posto di qualcun altro.
Vanity Fair
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