La coscienza che noi portiam/2

Sofri, quello anziano, sull’alibi e l’abuso della “questione di coscienza”, emigrati a sinistra dopo aver generato mostri a destra:

“Non voglio spingere il sospetto nei confronti della “sinistra radicale” fino al folklore di immaginarla ancora persuasa che si vada in Parlamento per impedirgli di funzionare, spingere alla crisi della “democrazia borghese”, e prepararle una soluzione sovietica non appena le masse saranno di nuovo mature. (Qualcuno tuttavia parla ancora questa lingua morta). Resta, dichiarata da loro, la “questione di coscienza”. Ebbene, se si riconosca, laicamente, semplicemente, che alle elezioni si partecipa, e in Parlamento si sta, per far governare una maggioranza contro l’altra, il desiderio di fare la rivoluzione o l’obiezione di coscienza devono trovarsi altri campi da gioco. Nelle elezioni politiche si gioca soltanto una maggioranza contro l’altra. Non è in ballo il proprio ideale e nient’altro, la rivoluzione o la purezza della coscienza, l’assolutezza che non ammette termini di confronto, bensì il confronto fra quello che consente la propria maggioranza, e quello che assicurerebbe l’altra. Con l’altra Calderoli direbbe che i francesi sono negri musulmani e comunisti, ma da ministro. Con l’altra si avrebbe un filoamericanismo di principio (e un filoputinismo di fatto). Poco europeismo, poca autonomia, poca distinzione.

Se davvero la coscienza personale osta insuperabilmente a un voto sul rifinanziamento della missione in Afghanistan, si può lasciare il proprio seggio al prossimo della lista, e tornare nei luoghi in cui l’assolutezza morale è di casa. Così si rispetterebbe il debito con la propria coscienza, e non si metterebbe a repentaglio quel governo per il quale la metà più uno, almeno, degli italiani ha votato, e con una così grande aspettativa. Non lo faranno, i senatori tanto applauditi nell’assemblea romana da diventare ostaggi di quegli applausi. E del resto hanno giustificazioni da accampare, in una maggioranza che a ogni piè sospinto vede spuntare una cresta pronta a cantare il proprio ricatto: O mi date il tal ministro o sottosegretario… O correggete la tale legge come piace a me… Canzone di tutti i giorni. In un paese normale, e in una democrazia dell’alternanza, tutti i partecipanti di uno schieramento dovrebbero attenersi alla premessa di non evocare mai la minaccia di far mancare la maggioranza. I loro rispettivi argomenti diventerebbero così argomenti, liberi, disinteressati, convinti: altrimenti, sono piccoli ricatti. O grandi, dipende dalle conseguenze.”

Repubblica

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