Del lungo articolo di John Lloyd sul giornalismo nei tempi di internet (su Repubblica, oggi) noto un paio di cose:
– la pretesa che non si possa affidarsi ai dilettanti dei blog per rinnovare il giornalismo somiglia alla tesi per cui i magistrati di Tangentopoli si sostituirono alla politica: è in parte vera, ma non la possono avanzare i giornalisti responsabili di essere stati scavalcati, come non era tollerabile che se ne lamentassero i politici causa del loro mal allora
– l’insistenza di discussioni sul “giornalismo” visto ancora secondo schemi superati dagli eventi è inevitabilmente perdente e si sopravvaluta. Quel “giornalismo” lì d’ora in poi sarà solo un pezzetto dei molti tipi di giornalismo e informazione che si faranno. Dire che il giornalismo da professionisti lo devono fare i professionisti è tautologico. Ci sono però molti giornalismi diversi che in questi anni sono stati esercitati da non giornalisti, e bene. Il discrimine, come sempre, non è il professionismo eventuale: è il fare le cose bene, o farle male. E conosco blog di persone che nella vita fanno altro che mantengono dei livelli di qualità e affidabilità di molto superiori di quelli di alcuni quotidiani
– la battuta conclusiva di Lloyd sarebbe indiscutibile e sacrosanta se fossimo nel 1998. Ma constatare che nel 2008 i giornalisti a cui Lloyd si rivolge devono ancora “scoprire come utilizzare i nuovi media, che al momento ci paiono una minaccia, e trasformarli in nostri alleati”, è piuttosto scoraggiante.
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