You only live twice

Ciao Luca, siccome i vizi del linguaggio giornalistico sono anche per me motivo di scocciatura, ti segnalo una cosa a cui nessuno sembra più fare caso: i funerali. Muore una persona, una sola, e si svolgono “i funerali”. Quanti? Uno. Quando sono entrato per la prima volta in una redazione – era la fine del ’92 – malgrado fossi a Biella e non al NYT la santa donna che cercava di insegnarmi i famosi rudimenti mi mise in mano un libercolo che i giornalisti si passavano in eredità dopo la fase di gavetta, ma che veniva continuamente consultato per tutta la carriera, un mansionario che spiegava come declinare i termini stranieri, dove mettere gli apostrofi e gli accenti, come si usano le maiuscole quando si cita il titolo di un’opera o si parla di un’istituzione, differenza tra caporali e virgolette, le citazioni, le donne “incinte” e “i funerali”. All’epoca, se qualcuno usava l’espressione “funerali” senza che se ne fossero svolti effettivamente di doppi – privato e ufficiale, civile e religioso – si beccava una pernacchia. Oggi nessuno ci fa più caso. E sono passati solo 15 anni.
Saluti, e buon 2009.
Paolo

update: un altro lettore di Wittgenstein, Luca Rozzini, ha scomodato l’Accademia della Crusca, e mi ha mandato questo:

“La voce dotta funerale, derivata dal latino funeralia, neutro plurale dell’aggettivo funeralis, secondo il Dizionario Etimologico Italiano di Carlo Battisti e Giovanni Alessio, è attestata come aggettivo in italiano fino dal XIV secolo: il GDLI (Grande Dizionario della Lingua Italiana fondato da Salvatore Battaglia, Torino, UTET, 1961-2002) la registra già in Boccaccio; come sostantivo risulta più tarda (XV secolo), e col valore di ‘cerimonia funebre per accompagnare un defunto alla sepoltura o per commemorarne la morte’ si trova “spesso al plurale per indicarne la solennità” – in effetti fino dalle prime testimonianze è registrato questo uso, per esempio in Pandolfo Collenuccio (1444 – 1504) o nel Bandello (1485- 1561) -, mentre col valore di ‘corteo funebre’ appare sempre al singolare. L’uso de l plurale è registrato anche nei dizionari dell’uso contemporaneo (GRADIT edizione 2000, Devoto-Oli 2004, 2005 e DISC 2008) senza specificazioni a proposito del valore semantico (anche se DISC riporta funerali di stato). L’unico dizionario a non rilevarlo è ZINGARELLI (edizioni 2004 e 2005) in cui però alla voce trasporto, si legge “t. funebre, esequie, funerali”. Nel Dizionario della lingua e della civiltà italiana di Emidio De Felice e Aldo Duro (Palermo, Palumbo 1976, ma anche 1993), si conferma quanto testimoniato dal GDLI distinguendo tra la ‘cerimonia funebre con cui si trasporta e si accompagna una persona defunta alla sepoltura’, di cui sono sinonimi accompagnamento funebre, trasporto e mortorio, e il significato più ampio di ‘complesso dei riti e delle cerimonie con cui si tributano le estreme onoranze a un defunto’, sinonimo meno solenne di esèquie in cui è “usato generalmente al plurale”. I mass media, ad esempio, usano molt o spesso la forma al plurale, probabilmente perché si fa quasi sempre riferimento al complesso delle cerimonie più che al corteo funebre, e anche per sottolineare la solennità dell’evento trattato.”

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