C’è un effetto “darwiniano” nel travaso sempre più cospicuo di utenti dell’informazione dalla tv al web. Più i siti e i servizi di news online attraggono lettori che si abituano alla velocità degli aggiornamenti e alla varietà delle fonti, più l’informazione televisiva è costretta ad adattarsi al mutare del suo pubblico. Questo passaggio infatti non solo diminuisce quantitativamente gli spettatori dei telegionali e dei programmi giornalistici, ma ne cambia qualitativamente la composizione. Quelli che continuano a ricevere informazioni dalla televisione sono pubblici sempre meno consapevoli, sempre meno attenti, sempre meno critici, sempre meno informati: residuali. I tg rischiano di diventare così quello che erano un tempo le riviste da parrucchiere, mezzi di informazione destinati a chi non ne ha altri e le cui domande di completezza e affidibilità sono bassissime. E in questa evoluzione, i tg si adattano.
Disperando di poter andare controcorrente e trovare altri modi di svolgere la propria primitiva funzione giornalistica con prodotti di qualità, i programmi tv seguono e creano insieme la domanda più povera e superficiale: si occupano di piccola cronaca nera e strano-ma-vero, fanno allarmismo e sensazionalismo, convertono la loro linea editoriale in “dove-andremo-a-finire-signora-mia”, lasciando una nicchia di sopravvivenza indipendente solo all’immarcescibile spazio delle marchette politiche. Il quadro lascia fuori ancora qualche eroico sussulto di dignità, ma sono sempre meno.
Non è a rischio la sopravvivenza dei telegiornali – è sopravvissuto Cronaca Vera -, è a rischio ben altro.
Quelli che l’ha detto il telegiornale, oh yeah
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