Per un’igiene linguistica della discussione sui referendum

Come avviene ormai per molte “polemiche” alte e basse, anche sulla questione della fecondazione asssistita il grosso degli argomenti sono sprecati in litigi su parole e termini che non hanno relazione con la realtà, e che possono voler dire qualsiasi cosa. Come con la guerra e con la pace, ci si inventa un termine da contestare e lo si appiccica (“sei un guerrafondaio!”, “sei un pacifista integralista!”) addosso al prossimo, qualunque sia il grado della sua elaborazione. Scrivo qui alcune cose che trovo assurde in questo caso.

Uno , il Far West. Come sa chiunque abbia mai frequentato la materia, il “far west” della fecondazione assistita non è mai esistito. La dimostrazione più visibile, è che questo dibattito è esploso non a seguito di una situazione insostenibile, ma a seguito di una proposta di legge – poi approvata – a ciel sereno, su un argomento di cui pochissimi sapevano qualcosa. È la legge ad aver scatenato la discussione, non la situazione di fatto.

L’espressione “far west” serve a fingere che ci fosse una drammatica esigenza di regolamentazione a cui si dovesse far fronte precipitosamente, e a sostenere che se anche la legge fosse una cattiva legge, va data la priorità alla sua sopravvivenza in ogni caso. Che questo sia una balla, come ho detto, è dimostrato dai fatti. Non ho visto nessuno dei tormentati sostenitori della legge agitarsi altrettanto per quel “far west”, due anni fa. In radio, a Condor, ne parlammo per un caso: fui invitato da un esperto di procreazione asssistita a moderare un dibattito, per una mia presunta qualità di moderatore. Non ne sapevo niente, spiegai. Non ti preoccupare, tu devi solo moderare, mi dissero: il solito. Andai e imparai una montagna di cose e soprattutto venni a sapere dell’esistenza del disegno di legge. Ne parlai in giro nei giorni successivi e nessuno ne sapeva niente: non della legge, né della materia in discussione. C’era il far west ma nessuno se ne accorgeva. Ne discutemmo in radio – c’era ancora EmmeBi, se lo ricorderà – con una senatrice dei DS e un medico. Non arrivò neanche una delle mail che oggi protestano ogni volta che accenno alla questione. Il far west.

Il “far west” fa leva anche su una tendenza regolatoria dell’istinto umano: “ci vogliono delle regole” è un tic dialettico abbastanza diffuso. In realtà, come sostiene un pensiero assai longevo e consolidato, non ci vogliono delle regole in assoluto: ci vogliono delle regole dove servono. Ci vogliono delle regole dove vanno tutelati dei cittadini, dei diritti, una comunità: dove l’autoregolazione non è sufficiente. Per capirsi, a casa mia ci sono due ascensori: si può usare indistintamente uno o l’altro. Non c’è una regola che dice chi può usare uno e chi può usare l’altro, e quando. È il far west. Nel momento in cui ci fosse necessità di lasciare un ascensore libero per qualcuno che non può aspettare, o per delle emergenze, si stabilirà un regolamento in questo senso. Per ora, funziona tutto piuttosto bene.

La legge sulla fecondazione assistita invece è andata dietro a un principio statalista e normatorio – assai anziano anche quello – che ritiene le persone incapaci di agire secondo coscienza anche per ciò che le riguarda, ed ha stabilito – superando una necessità reale ma molto più ridotta – una serie di divieti anche su eventualità che non avevano alcun bisogno di essere regolate per legge.

Due – Figlio e specchio del “far west” è il concetto millenarista del “dove andremo a finire”: quello a cui piace evocare terroristicamente “bimbi tutti biondi e con gli occhi azzurri”, prospettive naziste, e fine della specie umana. Non sto a parlarne più a lungo, perché vale ciò che ho già scritto sopra. Non si può escludere niente dalle eventualità del futuro, ma non ha senso trattare come imminenti scenari da fantascienza cinematografici, a meno di non essere in cattiva fede. Ed è insopportabile e offensivo che le istituzioni ritengano le persone mediamente inclini a distruggere in un modo o nell’altro le vite e i diritti dei propri figli, e che pretendano di sapere – questo sì che è cinematograficamente orwelliano – cosa sia meglio per loro.

Tre – Gli eccitati paladini della legge adesso si sono inventati questo slogan, che gli piace molto: “è intollerabile che si pensi di aver diritto ai figli!”. I figli non sono un diritto, tuonano, né una pretesa egoistica e capricciosa. Suona bene, in effetti, come tutti gli argomenti inventati pretestuosamente solo perché è facile smontarli. Ma non ha senso.

Intanto, potrebbe essere applicato nei confronti di qualsiasi cosa: si potrebbe fare una legge che vieti alle persone antipatiche di sposarsi. E quando quelle protestino, dire loro: “una moglie (o un marito) non è un diritto! È un essere umano! Egoisti!”. E poi non esiste la pretesa del “diritto al figlio”: è una formulazione che fa piacere solo a chi la contesta. Quello che alcune persone chiedono è semplicemente di potere – laddove sia possibile – avere un bambino, per le stesse ragioni per cui lo desiderano tutte le altre. A chi fa un figlio come le api e gli uccelli, non si contesta di pretendere “il diritto al figlio”. Ma un desiderio o una richiesta non sono diversi per il fatto di essere esauditi o no. Secondo questo ragionamento due persone che fanno l’amore e sperano di avere un bambino non pensano di avere diritto a un figlio, mentre due persone che vanno in clinica e sperano di avere un bambino sì. In termini di logica – e la logica sarebbe quella cosa che governa le discussioni, in teoria – non ha senso.

In questa contestazione sul “diritto” sta un’ulteriore forzatura: quella di attribuire al termine “diritto” nell’uso corrente un significato rigidamente costituzionale e giuridico. Invece tutti noi diciamo continuamente “ho il diritto a un po’ di tranquillità”, o “hai il dovere di ascoltarmi”, senza riferirci evidentemente a questioni legali. Intendiamo dire che pensiamo che una cosa sia giusta.

Ecco, ora i valorosi sostenitori della legge 40 provino ad accusare “voi volete che sia giusto poter avere dei figli”, e vedano se suona così forte lo stesso. Temo, per loro, di no.

Quattro – Capisco il meccanismo, quindi rispetto le perplessità dei cattolici sull’eterologa. Ho detto che le rispetto, non che mi sembrino fondate. Le perplessità basate su una fede, per definizione, non possono essere attaccate razionalmente. Ma veramente mi meraviglia la freschezza con cui alcuni non credenti – D’Alema, pure? – si fanno venire dei dubbi. Perché? Di cosa parlate?

Come per il “far west”, la fecondazione eterologa era presente ormai nelle nostre culture e in un angolo visuale dei nostri pensieri da tempo. Mi sembrava che tutti ci avessero fatto l’abitudine, alla sua praticabilità, e alla rarità delle sue applicazioni. La si è praticata, e il mondo non si è capovolto.

Apro una parentesi: questo argomento, quello dei risultati, dovrebbe essere tenuto in maggior conto. Tutte le discussioni sui principi e sui valori e sulle regole non dovrebbero mai prescindere dai risultati: le regole e i valori e i principi si giudicano quasi sempre in base a quelli. Io aspetto ancora qualcuno che mi mostri una conseguenza nefasta del “far west” cosiddetto, o della fecondazione eterologa. Andate all’estero, visitate la Spagna, spulciate gli archivi, e trovatemi che una fecondazione etrologa ha creato mostri che non si sarebbero creati con uguale probabilità in suo divieto. Chiusa parentesi.

Ma la cosa che davvero non capisco, è quale sia il problema, con l’eterologa. Che il bambino non abbia un padre, è una fesseria. Perché ce l’ha, o vogliamo sovvertire all’improvviso tutti i bei discorsi sul fatto che il padre sia chi si comporta da padre eccetera? E poi ci sono millenni di figli nati da adulteri e figli adottati: che vogliamo fare, vietiamo gli adulteri e le adozioni?

La risposta, in genere è: ma quelli ormai sono arrivati, esistono già, e si tratta di dar loro una famiglia. Beh, si potrebbe dire lo stesso dei figli nati da un altro donatore, una volta che siano nati. Se uno invece li vieta a monte perché non avranno un padre naturale, allora dovrebbe appunto vietare a monte anche l’adulterio, o vietare di fare figli a chi non sarà in grado di mantenerli. Il prima e il dopo sono criteri relativi. Anche la ricettazione avviene solo una volta che il furto ormai è stato commesso, ma è considerata un reato.

Ma soprattutto, le adozioni – e il rispetto che ne abbiamo – dimostrano che la questione del “padre naturale” è inesistente: come si fa a sostenere contemporaneamente che ci vuole un “padre naturale” e che si può farne a meno? A meno di considerare menomata una famiglia con un figlio adottivo, a meno di ritenerla sbagliata, a meno di ritenere il bambino frutto di una pretesa capricciosa: ovvero tutto quello che alcuni dicono delle famiglie con un figlio nato con la fecondazione eterologa.

Cinque, l’embrione. Il dibattito su dove cominci la vita è – scusate l’aggettivo – sterile, oltre che stupido. Le cose cono complesse, e come hanno già spiegato molti più competenti, i processi vitali attraversano evoluzioni fluide, e non fratture nette (volendo cercarne una, quella sarebbe eventualmente la nascita, casomai). Ne consegue un atteggiamento relativo rispetto a come trattarla, la vita. Come si sa, le nostre società prevedono una relativizzazione – piaccia o no – di tutto: persino della salvaguardia della vita umana. Il riconosciuto coincetto dela legittima difesa ne è un esempio facile da capire. Spiegandosi meglio, le nostre scelte dovrebbero essere applicate di contesto in contesto: non a caso esistono le attenuanti, le aggravanti, la discrezionalità del giudice, eccetera. Esiste la valutazione del rapproto tra costi e benefici. Quindi nessuno pensa che l’embrione sia il nulla, o che se ne possa disporre in ogni modo senza alcuno scrupolo. Ma che i suoi “diritti” vadano giudicati assieme ai diritti delle persone coinvolte nella scelta, con un maggiore riguardo nei confronti di queste ultime, in quanto persone. Questo principio è già contenuto nella nostra cultura e nella nostra giurisdizione, basta guardare la legge sull’aborto, che pervede che un feto più formato abbia maggiori diritti di uno più giovane. Se lo si inverte, tutelando gli embrioni a scapito delle madri, dei malati, delle famiglie, bisognerà ridiscutere molto del nostro rapporto con la vita.

Come molti sanno, i modi di affrontare, contestare, e ritenere un disastro la legge 40, sono molti. Da parte di chi la difende, l’approccio religioso è per sua natura indiscutibile razionalmente. Dall’altra, quello più importante è probabilmente quello che ragiona sulla salute delle persone coinvolte e sui danni che la legge le infligge, fisici e psicologici. Basterebbe a chiudere la questione. Ma siccome c’è in giro una gran voglia di fregarsene, per spostare il dibattito su grandi teorie, prospettive e visioni laiche, beh, io volevo dire che sono chiacchiere. Sfogatevi al bar, o aprite un blog.

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