“Sei tu, amore”

Francesco Bianconi ha i capelli sugli occhi. È un vezzo, evidentemente, ma lui dice che è un vezzo che ormai si porta dietro dal liceo. Altrettanto consolidato sembra tutto il suo aspetto: è alto, bella faccia, barba di qualche giorno; porta un gessato un po’ sgualcito sopra una camicia dal colletto ingombrante aperta fino al terzo bottone. Ha degli stivaletti un po’ consumati e una borsa di pelle a tracolla. Potrebbe essere il cantante di una band toscana retrò dei primi anni Ottanta, di quelle che recuperavano vecchi look per metterli assieme a nuovi rock italiani.

Invece è il cantante di una band toscana del nuovo millennio, che al terzo disco – uscito un mese fa – si sta facendo largo anche presso il “grande pubblico”: cd in classifica, video su MTV, singolo che passa sulle radio maggiori, concerti gremiti e inviti televisivi.

I Baustelle (in tedesco significa “cantiere”, “ma è un nome che abbiamo scelto per come suonava, non per il significato”) sono quattro, tutti di Montepulciano, ripida e beata cittadina del senese. Con qualche cambio di formazione (l’ultimo alla vigilia dell’uscita del disco, quando è andato per la sua strada il tastierista Fabrizio Massara), suonano assieme da quasi dieci anni. Dal primo disco fanno canzoni pop molto orecchiabili ma ricche di citazioni e testi di spessore, mettendo insieme l’immagine di band raffinata e che un po’ se la tira a delle canzonette ottime anche per la doccia. Una dei quattro è una ragazza, Rachele, che canta, suona il piano e ha degli occhi sensazionali. Nelle immagini del disco sono ritratti in un bosco, con abiti demodé e intorno a una vecchia Citroen. Ce n’era già quanto bastava a costruirsi un pubblico di affezionati ed elitari cultori, disseminati in tutta Italia: ma il nuovo disco ha trovato la produzione di una grossa casa discografica e una manciata di canzoni melodicamente imbattibili. Se non fosse che.

Se non fosse che i Baustelle sono pur sempre una band colta e riflessiva, e i loro testi non sono proprio come quelli dei Lunapop. E allora la canzone scelta come singolo – “La guerra è finita” – parla di un suicidio, con una melodia allegra e liberatoria che rende ulteriormente inquietante il racconto. “È stata una scelta avventata, ma ci siamo felicemente stupiti del fatto che l’etichetta l’abbia sostenuta”, dice Bianconi: “sappiamo che alcune radio non hanno voluto trasmetterla, appunto per via del testo”. Il suicidio di “una ragazza d’oggi” è evocato anche in un’altra canzone del disco; e in una terza il protagonista è “il Corvo Joe” – “è un corvo vero: sta ai giardini di Porta Venezia a Milano ed è amico dei mendicanti” – con tutto il contorno lugubre dell’immagine del corvo (Bianconi dice di averla scritta per Celentano). Ma prima che vi preoccupiate (altri titoli del disco: “Cronaca nera”, “Revolver”, “Il nulla”, “Cuore di tenebra”), bisogna ripetere che la capacità di alleggerimento pop dei Baustelle prevale su qualsiasi ombrosità dei testi. In giro, nelle ultime settimane, si ascoltano nei posti più impensati e il passaparola dilaga. Bianconi, che da qualche anno abita a Milano con la sua fidanzata, è candidamente meravigliato del nuovo mondo di apparizioni televisive che sta accogliendo i Baustelle, e rimane con i piedi ben per terra, dentro le scarpe consumate. “Quando sono arrivato a Milano ho lavorato per un po’ in una rivista di giardinaggio. Poi ho collaborato con altri giornali. Con la musica non ci viviamo, e anche ora che le cose che vanno un po’ meglio, a me piacerebbe anche scrivere più stabilmente. Sto cercando di scrivere canzoni per altri, per esempio”.

La canzone più divertita e autoironica del disco (si chiama “La malavita”, il disco) è “Un romantico a Milano”, che prende in giro alcuni luoghi comuni del dandysmo e degli spazi di vita bohémiènne cittadini.

Chiedo a Bianconi chi siano gli altri italiani che gli piacciono, se c’è qualcuno a cui fanno riferimento. “Riferimenti precisi no: per un po’ ho ascoltato tantissimo Piero Ciampi. Ai tempi dell’avvento del cd avevo comprato a Siena un suo cofanetto di vinili in svendita in un negozio di Siena. Assomigliava a mio nonno, Ciampi. Ma se la vuoi sapere tutta, una delle folgorazioni della mia crescita musicale fu la comparsa di Garbo a Sanremo: allora fu una rivoluzione, estetica e musicale. Gli italiani più bravi oggi sono Morgan e gli Afterhours: anzi, mi chiedo perché Morgan non faccia un altro bel disco di canzoni sue”.

L’ultima canzone del disco dei Baustelle è quella che tira le fila della speranza e dell’ottimismo disseminati per tutto il disco:

Ma c’è una luce che cancella il buio

E non è il fulmine e non è il sole

Non è la mano del signore

Sei tu, amore

Squilla il telefono di Francesco Bianconi: è Rachele Bastreghi, che gli chiede dettagli sui loro prossimi impegni. Lui risponde, cita le date dei futuri concerti, e non si toglie i capelli dagli occhi.

Vanity Fair

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