Discussione tra amici, in attesa di essere pensionati e poter salire sui tram a parlar male di Berlusconi: cosa resterà di Rockpoltik? È già diventato come Sanremo, che pare centrale nella vita del paese per una settimana, e due giorni dopo nessuno si ricorda più niente? Lacrime nella pioggia?
In effetti, il programma di Celentano pare lontanissimo appena due settimane dopo, e ulteriormente incredibile l’impazzimento di osservatori e spettatori. Uno ci pensa, e gli pare di aver sognato.
Ma una cosa di certo è passata, dice uno dei convenuti: lento e rock. È vero, dice un altro, al bar ho sentito un avventore e il cameriere discutere se il caffè fosse lento o rock. Si ride, e un altro chiede quando?. Beh, la settimana scorsa. Ah, ecco.
Ma è vero che il tormentone lento e rock ha funzionato, almeno un po’. A dispetto dell’anacronismo dei termini. E ha funzionato per una ragione semplice: il manicheismo dell’alternativa, applicabile a ogni cosa, corrisponde esattamente alla condizione culturale del paese. Chiamate in causa Guelfi e Ghibellini, oppure la logica del bipolarismo, o le curve degli stadi, ma siamo un pubblico assetato di semplificazioni drastiche, svogliato ai grigi, alle sfumature, alle complessità. O di qua, o di là, in politica, con le cose del mondo, nei rapporti umani, e sul caffè. Lenti o rock, gli italiani odiavano il jazz.
Vanity Fair
La logica del bipolarismo, è lenta
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