I due uomini più potenti del mondo si stanno prendendo a pesci in faccia, pubblicamente, da imbecilli quali sono: e se mi sta leggendo qualcuno di quelli che ritengono che il “successo” dell’uno o dell’altro contraddica la definizione di imbecille – lo so, ci sono – beh, sto scrivendo proprio per dimostrare il contrario. Anche se basterebbe quello che è successo nelle ultime 24 ore: l’intelligenza è quella cosa che ti fa evitare figure da cretino in pubblico o ti fa evitare di fare cose che ti danneggeranno o ti fa evitare di fare cose che danneggeranno le persone che vuoi tutelare. Se quello che fai invece ottiene tutte e tre queste cose, la tua intelligenza è fortemente messa in dubbio, per usare un eufemismo. Hai voglia a inventare razzi missile.
Quindi la mia tesi di partenza è che abbiamo costruito un mondo in cui le due persone più potenti (due uomini) sono degli imbecilli. E in cui la poca intelligenza non è più un limite per ottenere quel genere di “successo”: anzi, è probabilmente un fattore prezioso. Vale in generale per le classi dirigenti politiche ed economiche – come in questo caso – ma vale per la “qualità” di quasi tutto quello che ci circonda. Quello che chiamiamo il “populismo”, con molti abusi del termine, è in sostanza la tautologia per cui quello che viene premiato dalle maggioranze sia per definizione di qualità migliore. Tautologia falsa perché manca di un presupposto fondamentale: la capacità di giudizio delle maggioranze. Che, come sappiamo dai tempi di Barabba, devono essere fornite di informazioni e conoscenza per fare le scelte migliori (parlo in terza persona, ma le maggioranze siamo tutti noi, in un caso o nell’altro): quando invece, come è successo in questi decenni, un combinato disposto di propaganda interessata e innovazioni tecnologiche ci spinge nella direzione di una maggiore ignoranza, il contemporaneo accesso a maggiori poteri di scelta genera mostri, non “maggiore democrazia”.
Usciamo dalla politica e guardiamo al mercato, che in teoria sarebbe la primigenia forma di democrazia (“la legge della domanda e dell’offerta”, quello è: ciò su cui c’è maggior consenso ottiene maggior valore e maggior potere). Grazie al fatto che le condizioni delle persone nel mondo sono migliorate, l’accesso ai consumi si è grandemente esteso, ottima cosa: ma quest’estensione ha reso più forte il potere della domanda rispetto a quello dell’offerta, e ha avviato un circolo vizioso per cui categorie di consumatori un tempo meno privilegiate e quindi di minor giudizio e competenza sulla qualità hanno generato ricchezza per prodotti, aziende e servizi che sono andati incontro a queste richieste di minore qualità. Abbandonando ogni necessità e responsabilità di elevarla e farla progredire, questa qualità: e quindi – circolo vizioso – abbassandola e trasmettendo un impoverimento di cultura, conoscenza, competenza, esigenza.
Comincerò da un’eccezione, l’unica eccezione grossa che mi viene in mente: il cibo. È l’unico settore che è ancora capace di trasmettere un’idea di valore della qualità, per molte ragioni e percorsi che sarebbero lunghi da indagare. Ma indagarli – non lo faccio qui – sarebbe molto interessante per capire le ragioni dell’eccezione. Non sto dicendo, naturalmente, che il mercato alimentare non sia occupato in gran parte da prodotti di bassa qualità: ma dico che tra i consumatori – noi tutti – c’è una percezione dell’importanza della qualità, e che se compriamo i pomodori all’Esselunga invece che dal fruttivendolo rimasto in centro, è per ragioni pratiche ed economiche. Non perché ci siamo convinti che quei pomodori siano più buoni.
Questa cosa, la percezione di un valore della qualità, ha smesso di prevalere – parlo delle maggioranze – negli ambiti commerciali dove sarebbe più normale attendersele, un’offerta e una domanda di qualità. Esempio uno: la Moda, il settore che più di ogni altro ha costruito i suoi successi e il suo valore sull’idea che illuminati e raffinati tutori del gusto e designer producano cose eccezionali verso cui elevare il gusto di noi masse. Ma è successo che quando noi masse abbiamo cominciato a poterci permettere la Moda, la Moda è venuta incontro ai nostri gusti, e addirittura ci ha preso a modello (lo “streetwear”), pur di soddisfarci. E i grandi e raffinati brand di Moda oggi vendono molti più borselli e t-shirt truzze che abiti eleganti. Devastano il gusto e diffondono conformismi da parvenu piuttosto che indicarci orizzonti di maggiore elevazione stilistica e culturale.
Esempio due: la musica. L’accesso alla musica gratuito o quasi, volatile, illimitato, ha reso la produzione musicale straordinariamente più conservatrice e pigra: indirizzata a soddisfare le nostre domande e abitudini, a ripetere meccanismi, a produrre quantità industriali con criteri industriali, ad abituare il nostro gusto a cose facili ed economiche. Non ho più nessun timore di sembrare – persino a me stesso – un vecchio babbione nostalgico, dicendo che la qualità della musica è assai peggiorata: è palese, e lo dice ormai chiunque con un po’ di giudizio. Non che non ci sia mai stata la musica commerciale mediocre, ma il rapporto di forze culturale tra la musica di qualità e di invenzione e quella mediocre e automatizzata si è invertito: la cosa che sto scrivendo è considerata persino da certe persone di cultura e competenza uno “snobismo”. Per vergogna del quale ci compiacciamo di difendere produzioni pessime solo perché sono molto apprezzate e vanno forte: ma sono apprezzate e vanno forte perché ci siamo amputati la capacità di giudizio e le asticelle di qualità, tutti quanti. E ci siamo fatti ricattare dalle propagande populiste.
E questo sta succedendo anche con l’esempio tre, i libri: in nome di un malinteso rispetto per lettori e lettrici (tutti noi, ancora), e costrette dalle proprie difficoltà di sussistenza o dalle proprie avidità, le case editrici maggiori e gli addetti ai lavori – in teoria responsabili dello stesso ruolo “educativo” dei designer di Moda – stanno sempre più rimuovendo ogni selezione critica di ciò che pubblicano. Il “romance” o il “romantasy” – così come i libri inutili di politici scarsi – hanno tutto il diritto di essere pubblicati e di essere letti, e tutti abbiamo il diritto di leggerli e di apprezzarli, eventualmente: ma a differenza che col cibo, stiamo facendo saltare la consapevolezza che siano prodotti nella loro quasi totalità mediocri, di produzione industriale e ripetitiva, di nessuna creatività artistica e culturale, di nessuna capacità di aumentare la conoscenza e migliorare le persone e le società con la loro lettura. Che sono le doti che abbiamo fieramente attribuito ai libri fino a poco fa, anzi che contraddittoriamente continuiamo a proclamare: ma la nobiltà del libro e della lettura esistono solo se producono nobili risultati. Se si limitano a farci passare delle ore piacevoli, come giocare a Minecraft o succhiare un ghiacciolo, il loro valore è quello di giocare a Minecraft o di succhiare un ghiacciolo. Che si legga di più per merito di questi libri – o per merito dei libri di auto-aiuto e consolazione, per quanto consolino alcuni di noi – non ha nessun valore per le nostre società e comunità (che anzi tendono a rincoglionire e a limitare il tempo dedicato a più proficue conoscenze).
Ripeto, benissimo, e liberi tutti: io ho ascoltato delle compilation di musica dance anni Novanta, lo scorso weekend. Ma se alla consapevolezza della bassa qualità e alla rivendicazione dei piccoli “guilty pleasure” personali sostituiamo lo sdoganamento di tutto questo attribuendogli lo stesso valore di Carrère e Roth (come stanno facendo istituzioni e media preposti alla diffusione di “cultura”), per paura di suonare “snob” e di perdere possibili consensi e guadagni, ecco che siamo nello stesso contesto della musica. Un business di low-cost, come Ryanair.
Non parlo dei prodotti televisivi, sciatti e trash per definizione, ormai: e però celebriamo puntualmente gli anniversari del maestro Manzi. Ma sono solo alcuni esempi che dimostrano che il grande successo non si deve necessariamente – non si deve quasi mai, ormai – a una reale qualità come la consideriamo sulla base di conoscenze e competenze. E che anzi, se lavori per abbassare la qualità della domanda – come hanno fatto forze politiche e industriali soprattutto dalla fine del secolo scorso – potrai abbassare la qualità dell’offerta, e ottenere maggiori consumi a costi minori. O più voti essendo un imbecille.
Appunto. Questa cosa è naturalmente successa anche nella politica, e lo abbiamo detto assai negli ultimi due decenni soprattutto. E capirlo impedisce di farsi illusioni sul fatto che i fallimenti portino a improvvisi risvegli, comprensione degli errori e applicazioni di criteri diversi di giudizio: perché quei criteri sono stati annientati. Dopo Trump e Musk arriverà qualcuno più imbecille di Trump e Musk. O per capirci con l’esempio delle classi politiche di governo italiane di questi decenni, abbiamo avuto i ministri di Berlusconi, poi i ministri grillini, poi Salvini, adesso Valditara, Santanchè, Lollobrigida e Pichetto Fratin. Quando ci avranno deluso anche questi, ne sceglieremo di più scarsi ancora convinti ancora di essere nel giusto: perché il problema ormai è la domanda quanto l’offerta.