Affanculo l’uomo ragno

Certo che è una semplificazione, e tutto è molto complesso e con aspetti e variabili che hanno valori e importanze proprie: ma se proviamo a guardarla un po’ da lontano, quello che la presidenza di Donald Trump sta imponendo al suo paese e proponendo al mondo è il capovolgimento di quella frase dello zio dell’uomo ragno che su questo blog avete letto spesso, e che so di ripetere noiosamente da tanti anni: “da un grande potere derivano grandi responsabilità”.

Le nostre società e culture hanno costruito nei secoli, con fatica, e senza riuscire a convincere tutti, l’idea che chi è più forte debba farsi carico del bene di chi è più debole: senza riuscire a convincere tutti, certo, ma facendo passare l’idea che i non convinti siano nel torto. Abbiamo stabilito che chi è più ricco paghi più tasse per aiutare chi è più povero; abbiamo stabilito che gli adulti facciano per i bambini maggiori sacrifici di quelli che i bambini fanno per gli adulti; abbiamo stabilito che gli stati – ovvero tutti noi – si facciano carico di curare i malati, istruire gli ignoranti, proteggere i deboli (riuscendoci non sempre, ma l’idea è condivisa). Abbiamo creato leggi che impongano ai privilegiati sacrifici a tutela dei danneggiati. Abbiamo convenuto che le persone più influenti debbano cercare di essere di maggiore esempio con i loro comportamenti.

Abbiamo insomma stabilito che da un grande potere derivino grandi responsabilità. Ripeto, non abbiamo convinto tutti, ma abbiamo fatto passare che fosse la cosa giusta.
Ora “l’uomo più potente del mondo” ha azzerato tutto questo e proclamato che invece da un grande potere deriva un grande potere, punto. Affanculo le responsabilità. Che maggiori ricchezze, risorse, forza non siano uno strumento per aiutare chi ha meno, e quindi per migliorare le condizioni delle comunità e la convivenza, ma uno strumento per averne ancora di più, di ricchezze, risorse, forza, tra i paesi, e all’interno dei paesi.

L’idea che gli stati si aiutino tra loro e collaborino – gli stati liberi e democratici – aveva avuto un’accelerazione ottant’anni fa, dopo la Seconda guerra mondiale. Gli stati si erano fatti la guerra per secoli, ognuno con l’obiettivo di diventare più ricco, più forte, più potente, a danno degli altri: a un certo punto questo approccio aveva rischiato di portare alla distruzione di tutto e di tutti, e gli stati – molti di loro – avevano imparato che allearsi e favorire la convivenza non era una questione da “comunità hippy”, come direbbe Meloni, ma un interesse comune che faceva il bene di ciascuno di loro e li proteggeva da rischi maggiori. Abbiamo costruito l’Unione Europea, l’ONU, persino la NATO, con l’intenzione di proteggerci insieme (con tutti i limiti e le imperfezioni che conosciamo), e più fossimo stati meglio sarebbe stato. Abbiamo allargato i mercati, ridotto i confini tra i commerci, lavorato perché la pace passasse per la costruzione di ricchezze condivise.

Adesso, a culmine di un lavoro di logoramento che ha avuto negli ultimi decenni tanti complici e la saldatura di tanti interessi e propagande, il paese più potente del mondo ha dichiarato – con processo democratico – di non volerla più, quella cosa lì. Di voler tornare indietro: ognuno per sé e in competizione con ogni mezzo, chi è più forte merita di esserlo e di usare la sua forza per esserlo ancora di più. Di voler tornare indietro a prima che decidessimo di collaborare con la consapevolezza che da maggiori poteri derivassero maggiori responsabilità.
Ora, i paragoni col passato sono un giochino facile e spesso sterile: tutto è cambiato, tutto è diverso, e la speranza è che lo siano anche questa volta. Ma a essere tentati di farlo, il giochino, a guardare un po’ più da lontano, la domanda è: ve lo ricordate com’era il mondo, prima di questi ottant’anni, prima dell’uomo ragno?

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