Strategia della pensione

Il gioco di parole è abusato; ma c’è davvero una forte similitudine tra quella che si chiamò strategia della tensione e l’atteggiamento conservatore e ostile al rinnovamento che domina le cose italiane, e di cui in questi giorni si parla un po’ di più per via di una battuta dell’ingegner De Benedetti.

La strategia della tensione, semplificando, era quel progetto – erede di una lunga storia – che pensava di dissuadere gli italiani dal cambiamento e convincerli della necessità di poteri politici forti e antidemocratici, mettendo loro paura con violenze e propaganda sulla natura di queste violenze.

Oggi succede una cosa meno netta e deliberata, ma che sicuramente non può essere solo casuale. La scarsa propensione al rinnovamento anagrafico delle classi dirigenti è sicuramente figlia di una scarsa propensione al rinnovamento e al cambiamento in generale: con i tempi che corrono, le persone tendono a sperare che le cose siano semplicemente normali o stabili, piuttosto che peggiorino. Se non addirittura che tornino come erano prima. Non sono tempi di slanci verso un futuro nuovo e migliore, ma di rimpianti verso un passato meno peggio.

Ma è evidente che questa visione dei tempi che corrono, questa aspirazione alla stabilità e questa diffidenza del cambiamento, sono a loro volta figlie di una paura che è mantenuta e allevata dalle cose che vengono raccontate. Ogni allarme, ogni paura, ogni quadro preoccupante, che vengono disegnati, mantengono la riluttanza ad andare verso il futuro e le novità e il desiderio di restare attaccati al proprio parapetto.

Non so se è una strategia intenzionale, anzi a dire la verità non lo credo: ma di sicuro c’è un rapporto di causa ed effetto tra la straordinarietà della gerontocrazia italiana e il clima di insicurezza e paura di ogni cosa, che a volte corrisponde alla verità delle cose, e a volte no, e che è diffuso e sostenuto da quella stessa gerontocrazia

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