Capaci, 1992

La mattina di diciotto anni fa, benché avessi già sentito i telegiornali la sera prima, aprii Repubblica e mi misi a leggere riga per riga l’articolo a pagina due. Non c’era quasi niente su internet, allora. Quello che mi ricordo benissimo è questo, e ancora me lo ricordo benissimo – ero nella cucina di casa di mia madre a Pisa, col giornale appoggiato sul tavolo, e leggevo in piedi, le mani appoggiate -perché fu probabilmente la prima volta che una cosa letta su un giornale mi fece venire le lacrime agli occhi, in vita mia.

Su un’altra ambulanza Francesca, la moglie, giudice di tribunale, magistrato come il marito, magistrato come il fratello, Alfredo, sostituto procuratore del pool antimafia di Palermo. “Ha le gambe rotte”, diceva alle otto di sera un infermiere del Civico. “Ha il ventre aperto”, raccontava un chirurgo alle dieci di sera. E’ in coma, no si salva, è in fin di vita, è fuori pericolo. Povera Francesca, è morta, è morta anche lei con il suo amore.

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4 commenti su “Capaci, 1992

  1. Francesco Passannanti

    La mattina presto del 23 maggio, con mia moglie, all’epoca mia fidanzata ed un gruppo di amici siamo partiti dalla casa in campagna nei pressi di Partinico, per andare a Siracusa ad assistere alle rappresentazioni classiche presso il Teatro greco. Rappresentavano l’Alcesti, con Gianni Agus e con la supervisione del prof. Giusto Monaco, grande grecista mai celebrato fino in fondo e come avrebbe giustamente meritato. Quel giorno passammo SOPRA il tunnel (sicuramente già) pieno di tritolo, notando nulla di particolare (alcuni di noi ricordano un Fiat Fiorino fermo proprio sopra il tunnel). Intorno alle sei del pomeriggio, notammo un certo trambusto al teatro, poi la voce si sparse e calò un alone terribile sopra di noi, anche perché non sapevamo come tornare a casa, visto che l’autostrada, necessaria per raggiungere le nostre case, era ridotta “una trazzera” (una strada sterrata, come ci disse al telefono la madre della mia fidanzata). Arrivammo in campagna alle cinque del mattino, dopo essere partiti da Siracusa alle otto circa e dopo avere fatto un periplo tremendo della Sicilia (per capirci, Siracusa, Agrigento, Sciacca, Mazzara, Partinico, tutte strade statali, strette e piuttosto trafficate). Ecco il mio ricordo di quella giornata di merda. Per quanto riguarda il giudice lo incontravo spesso dal mio pusher di attrezzature informatiche (calcolatrici HP scientifiche e PC Apple), che a quel tempo aveva sede proprio sotto la casa di Falcone, dove c’è il famigerato albero.

  2. piti

    Il ricordo mi fa male, e non solo per la morte di Falcone e tutto quanto significava. Ma anche per la reazione che registrai.
    Ero andato all’Elba, con dei mountain-bikers, per fare un paio di giorni su e giù per gli sterrati dell’isola. La sera, girando per Portoferraio, i primi tavoli all’aperto, la notizia data dalla tv. Sconvolto. La mattina dopo, mi alzo molto presto e prendo una mazzetta di giornali. Leggo tutto, sono fuori di me. Faccio colazione con gli altri, una quindicina di persone fra i 25 e i 45 anni (io ne avevo quasi 31). Nessuno ci fa caso, mi guardano come un mariziano. Ma cosa te ne frega? Ma è così grave? Piuttosto, oggi, quanti ne vogliamo fare di km?
    Il ricordo di quella reazione, dei miei compagni (non amici) di gita, mi fa ancora quasi vomitare.

  3. Pingback: Mi rimetto in pari | Il blog di lucacicca

  4. giannigipi

    Entrai a casa di uno dei miei migliori amici (di allora), lui era con la sua ragazza. C’era la televisione accesa.
    Erano entrambi contenti. Avevano ammazzato “degli sbirri”.
    I miei amici (di allora) stavano tutti sempre sul filo della legge e adesso si godevano questa sinistra soddisfazione.
    Mi sentii malino. Gli chiesi se preferivano i mafiosi “agli sbirri”. Mi risposero che la menavo e prendevo le cose troppo sul serio.
    Andai via.

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