Imparare le divisioni

Posto che ci sono stati degli attriti eccessivi nel confronto tra manifestazione di Roma e riunione della Leopolda. Posto che c’è in giro tra i media una consueta eccitazione nell’alimentare questi attriti, e nel ridurre il racconto a una zizzania sovreccitata: e una inclinazione di noi lettori ad accogliere e godere di queste semplificazioni. Posto che qualcuno ne ha detta qualcuna di troppo. Posto che alcune falangi renziane non aderiscono tanto all’idea di cambiamento nel rapporto con chi la pensa diversamente predicata da Renzi (le falangi antirenziane idem, ma almeno non l’hanno mai predicata).

Posto anche che se non leggessimo i titoli dei giornali, di tutta questa drammatizzata tensione all’interno della sinistra avremmo ben altra percezione.

Ma posto tutto questo, è davvero cieco pensare che un partito con l’ambizione di raccogliere il consenso di oltre un terzo degli elettori, e possibilmente di più, abbia una linea unica e condivisa da tutti su qualsiasi cosa che stia sotto il rifiuto della ghigliottina (e pure su quello). Fermatevi a pensare, guardatevi intorno. Vedete un 40% che abbia un’idea comune di Italia, di futuro, della vita, del lavoro, del passato, della cultura, della scuola, della giustizia, di internet, della chiusura al traffico del corso in centro a Pescara? Chi contesta a Renzi la pretesa divisione del partito, crede che il partito non fosse diviso prima? Crede che le idee di Renzi non esistessero, e che quelli alla Leopolda fossero tutti contenti del sistema del lavoro in Italia? Crede che le idee esistano solo se le si mettono tutte insieme in un posto e si chiamano i giornalisti a contare la gente in sala o in piazza?

Tutte queste divisioni esistono, nella società italiana. E quando non esistono, nascono appena si evoca una questione: siamo un paese con mille opinioni, come è normale, che diventano subito diecimila, come è un po’ infantile. Ma così è: e si può cercare di intervenire su questo infantilismo includendo, e non dandolo per scontato e non attizzandolo, ma intanto che lo si fa – chi lo fa – le cose si devono costruire lo stesso. O pensiamo che gli americani che eleggono Barack Obama non abbiano tra loro posizioni lontanissime su molti temi importanti? Eppure lui, come gli altri presidenti, ha vinto perché lo votano malgrado questo, e dal giorno dopo ogni giorno ne scontenterà dei pezzi.

C’è una contraddizione ridicola nel racconto pubblico delle “divisioni interne al PD”: da una parte si descrive una drastica distanza reale tra comunità di italiani sull’idea di sinistra e di Italia e di futuro. Dall’altra di questa distanza così drastica e reale si incolpa Renzi, solo perché la comunità a cui è più affine è diversa da quella dei suoi predecessori. I quali non hanno mai ottenuto la possibilità di fare delle cose perché questa distanza l’hanno, loro sì, conservata, allontanando gli altri: non gli elettori di centrodestra, ma quelli di sinistra che non erano d’accordo con loro e ora sono d’accordo con Renzi, e lo hanno legittimato alle primarie. E allora, quando questo succedeva, nessuno accusava Bersani di voler dividere la sinistra: eppure in giro era pieno di gente delusa e sfinita da quel PD, e che non era d’accordo con la linea prevalente. Tanto che quel PD, per questo, non “rischiava la scissione”: perdeva le elezioni.

Ora Renzi ha un partito con un consenso certificato del 42% e un potenziale ipotizzato nello stesso ordine di numeri: possono essere un 42% di persone d’accordo? No, è sociologia elementare, che sappiamo fare tutti.

Le due idee di sinistra che si scontrano, quindi sono queste, davvero: quella di chi pensa che opinioni tanto diverse non possano stare nel consenso a un solo partito, e ragionevolmente aspirerà quindi a rappresentare con quel partito un massimo del 15-20% di elettori, se è molto bravo. E quella di chi, realisticamente, sa che se si vuole avere una delega e una rappresentanza maggiore – e quindi la legittimazione democratica a governare e cambiare le cose – le si otterranno da comunità di elettori che sono per forza diverse e lontane su molti temi, ognuna delle quali sarà sempre scontenta di una o molte cose fatte e annunciate.

Entrambe le idee sono del tutto ragionevoli e sensate: la prima ha guidato la sinistra per anni nell’ambizione che gli italiani diventassero tutti simili e comunisti, e poi tutti simili e diessini, e poi tutti simili e piddini. Non è successo, come si nota, e anzi è successo il contrario. La seconda idea guida Renzi nell’ambizione che gli italiani diversi diventino piddini condividendo quest’idea di diversità e convivenza. Non è detto che non vada a sbattere anche lui. Ma non sta dividendo la sinistra, sta facendo il contrario.

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6 commenti su “Imparare le divisioni

  1. Qfwfq71

    Funzionerà quando anche Renzi comincerà ad abbandonare la metodologia dell’opposizione ideologica.
    Quando Renzi procede spedito sulla sua strada, fa bene.
    Nella nautica si dice “barca ferma non governa”. Per cui prima di decidere che rotta devi avere devi prima mettere in movimento la barca. Poi una volta che hai deciso che rotta fare, devi tenere la barra dritta senza incertezze; anche li non c’è niente di peggio che procedere avanti e indietro.
    Quando però fa finta di non voler ascoltare i suoi intelocutori, con la scusa del decisionismo, in quel caso si pone sulla stessa linea dei suoi predecessori. Il dialogo tra le mille identità ci deve essere, e ci deve essere sul serio.

  2. marcozanotti.fe

    Ho l’impressione che le due idee di sinistra siano culture diverse.
    Io mi riconosco sicuramente di più nella Leopolda; poi vedo Zoro e la sua narrazione della manifestazione di Roma, del viaggio con gli operai di Terni, e in breve di tutta quella che è l’appartenenza a quella cultura della sinistra. Ne nasce un epos che la Leopolda, con la sua fucina di idee efficienti, non ha.
    Mi accorgo allora di un senso che trascende le distinzioni nuovo/vecchio, inclusivo/esclusivo, vincitore/vinto, ecc. — un senso che Renzi nonostante il suo impegno non può offrire, e infatti non dà: il senso di identità.

    Io sono d’accordo con la Leopolda, ma non sono la Leopolda.
    Mentre le persone di Roma, credo, sono la piazza, sono la manifestazione.

    Io la mia identità ce l’ho altrove, non la cerco nella politica.
    In questo credo si tratti più di uno scontro culturale che ideologico, una contrapposizione di mondi e non solo di idee.

  3. Luca Sofri

    La tua terzultima riga ha prevenuto la mia risposta, che era: il senso di identità non lo può dare un partito. Se lo affidi a un partito, non ti aspettare che il partito ti dia anche una capacità di cambiare le cose.

  4. marcozanotti.fe

    Infatti per me l’atteggiamento del nuovo PD è un passo avanti, un progresso.
    Da confrontare con la lettura di Makkox nei disegni di domenica 26, in cui l’amico renziano ha tratti e colori di un burattino senz’anima. Io ci ho visto seriamente il disagio di una generazione per un’identità mancata in una sinistra priva di quel calore umano e famigliare della “ditta” o della “bocciofila”.
    Credo sia una questione più grossa e delicata della sola capacità di cambiare.

  5. Pingback: Il PD non ha bisogno di Renzi per autodistruggersi

  6. Marco Mytwocents

    Concordo appieno.

    Fare “selezione” all’entrata è via via diventato una caratteristica peculiare della sinistra reazionaria conservatrice in nome di un identitarismo inevitabilmente minoritario. E quindi non di governo. Quello che negli anni ha acuito la “scissionite” alimentata da capi corrente anelanti alla purezza di sinistra in atteggiamento mistico a fare retorica.

    In Italia la sinistra liberale, quella pragmatica, non ha mai governato proprio per l’ostracismo dell’altra sinistra, quella accreditata, quella che ora fa del patetico vittimismo, come se non avesse gran parte della responsabilità nel degrado del Paese e dei valori (quelli veri: lavoro, sviluppo, riforme) che avrebbe dovuto rappresentare.

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