Gomorra e “l’emulazione”

La discussione sugli effetti sociali delle opere letterarie o editoriali è sempre pericolosissima: c’è in giro una grande inclinazione a dipingere come censura ogni ipotesi di critica e a fare gli scandalizzati di ogni riflessione che provi ad affrontare le cose nel merito e senza pregiudizi o tabù. Per fare l’esempio di cui voglio scrivere, se provi a fare una considerazione sulle ricadute culturali e sociali della serie tv Gomorra, puoi star tranquillo che riceverai accuse indignate di voler mettere a tacere l’arte, che la realtà va raccontata, che stai coi mafiosi, o altre scemenze e ovvietà pretestuose (probabilmente da persone che un momento prima e un momento dopo sosterranno invece che certi programmi tv rincoglioniscono la gente, e che Berlusconi ha vinto grazie alle televisioni, eccetera). L’implicazione di queste reazioni che rifiutano di ammettere l’esistenza di effetti, si immagina, sarebbe che quindi i prodotti editoriali non abbiano nessuna ricaduta sui pensieri, la formazione, le opinioni, gli atteggiamenti delle persone: o che li abbiano tutti identici, a prescindere dalle differenze tra i vari prodotti.

Se invece qualcuno un ragionamento nel merito lo vuole fare, io credo che sia palesemente vero che il successo di Gomorra trasmetta presso una parte di spettatori dei modelli deteriori e pericolosi: mi pare che non sia discutibile e che non abbia niente a che fare con la qualità eventuale del prodotto e della storia, con la sua verosimiglianza, e col fatto che invece per molti altri spettatori questo pericolo non esiste (per esempio: io non ho l’impressione che la visione delle precedenti sei puntate di Gomorra mi abbia spinto a compiere maggiori violenze di quelle che compivo prima; e credo lo stesso anche dei miei conoscenti che pure vedo molto accalorarsi di grandi passioni per i personaggi criminali della serie).

Il problema di questo dibattito, come avviene in molti dibattiti contemporanei, è infatti che appena lo schematizzi e assolutizzi lo fai diventare un dibattito cretino. Di chi dice che Gomorra è pericoloso contro chi dice che è prezioso, di chi dice che è un buon racconto della realtà contro chi dice che è un’esagerazione, di chi dice che combatte la camorra contro chi dice che aiuta la camorra. Il fatto è che probabilmente – “dipende” is the answer a tutto – tutte queste cose sono vere, a seconda di contesti e letture diverse. Gomorra è prezioso per certi spettatori a cui racconta cose che altrimenti non conoscerebbero – come tante opere di fiction, anche se sono di fiction – e i quali non sono biograficamente, culturalmente e caratterialmente soggetti a farsi influenzare nelle loro opinioni e comportamenti da un’opera come Gomorra (ma da altri tipi di opere sì); ma è pericoloso per certi spettatori – soprattutto giovani e con strutturazioni del pensiero meno radicate, beati loro – che da quella normalizzazione della violenza e dell’immoralità e dall’esaltazione dei responsabili di violenze e immoralità traggono modelli ed eccitazioni e auspici di successi e risultati. Se fate fatica ad ammettere una simile possibilità, provate ad applicarla al caso di X-Factor, o Amici, o a una partita di calcio, o al film sulla mamma di Peppino Impastato; provate a pensare a quelli che un giorno diranno di essere entrati in magistratura dopo aver visto un film su Falcone o Borsellino: direi che possiamo essere d’accordo, vero, che i personaggi di questi prodotti editoriali possono influenzare i loro spettatori giovani e anche meno giovani, che ne traggono modelli e passioni per persone e personaggi, che in certi casi sono fattori di scelte, che tra vederli e non vederli una differenza c’è, per alcuni? Ho detto per alcuni, non per tutti: non facciamolo diventare un dibattito cretino.

Faccio un altro esempio. Ieri un ventisettenne romano ha ammazzato e bruciato la sua ex fidanzata, a Roma. Ennesimo caso del genere di maschio che reagisce con violenza orribile alla diminuzione della sua idea di possesso di una femmina. Succede continuamente, e non succede il contrario, e sappiamo come mai. Per quella che chiamiamo una “cultura” maschile e maschilista, che diciamo ogni giorno di voler cambiare e far progredire: e un po’ lo facciamo, lentamente, molto lentamente. È la stessa cultura per cui intanto altri maschi picchiano e vessano persone omosessuali. Quel ventisettenne romano, gli adolescenti che perseguitano i loro coetanei gay, come ne escono da quella cultura? Io credo che ne escano quando una cultura più forte prevale: la ragione per cui molti di noi non prendono a modello positivo Ciro l’Immortale è che siamo troppo distanti da quel modo di pensare e da quelle priorità per poterle condividere. Siamo in un’altra cultura. È anche per questo che i soggetti più influenzabili sono quelli più giovani: per prossimità anagrafica, prima di tutte. Mentre Frank Underwood può essere un modello pericoloso per tutt’altro tipo di pubblico: per fortuna il pubblico che gli assomiglia di più (meno giovane, più interessato al successo politico, colto) è quantitativamente più ridotto: io, per esempio, ma finora sono riuscito a controllarmi limitandomi a gioire per la famosa scena della metropolitana (epperò ho gioito per un omicidio, poi dite che non ci si lascia influenzare).

Insomma, se prendete dei ragazzi maschi che vivono in condizioni di degrado e di prossimità alla delinquenza che non rimuovono come una follia impensabile l’idea che una donna che si sta allontanando da te la si strangoli e la si bruci in macchina o che non trovano inaccettabile che una giovane transessuale sia derisa e aggredita con spietata volgarità, ecco, se fate vedere a questi ragazzi tutte le puntate di Gomorra oppure tutte le puntate di Transparent, io sono convinto che le conseguenze sulle loro comprensioni e visioni del mondo saranno diverse. L’educazione, la lettura, quelle cose di cui ci riempiamo la bocca rispetto alle “nuove generazioni”, non sono parole vuote: hanno dei contenuti, e la storia è piena di educazioni deteriori che hanno dato risultati negativi sulla formazione culturale delle persone.

Tutto questo vuol dire che non si deve fare Gomorra, o che non si deve mostrare Gomorra? Ma ci mancherebbe, non diciamo fesserie. Gomorra e tante altre cose che possono essere comprese e assunte in modi radicalmente diversi: pensate all’esempio Zalone, di cui si è tanto parlato, in cui metà pubblico vede una derisione critica dell’italiano medio troglodita e metà pubblico vede un’esaltazione positiva dell’italiano medio troglodita, e così piace a tutti.
Tutto questo vuole dire, secondo me, altre due cose, invece: una è che è ridicolo censurare l’ovvietà che ogni libro, film, programma, articolo, canzone, eccetera, abbiano dei potenziali effetti “di emulazione”, di diverse entità e di diverse qualità. L’altra è che quando questi effetti hanno entità più estese e qualità più negative, forse è saggio porsi la questione di come attenuarli, lavorando non su Gomorra, ma fuori da Gomorra. Che è per esempio il lavoro che fa Roberto Saviano.

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8 commenti su “Gomorra e “l’emulazione”

  1. dimarco.nicola

    In gomorra non c´é nessuna esaltazione del male: tutti i personaggi sono dei disperati perdenti, alla fine falliscono o muoiono. Non viene proposto niente di desiderabile, anzi.
    Tu piuttosto, hai davvero gioito per l´omicidio della giornalista in House of Cards? Stai bene?

  2. speakermuto

    Questione di lunga data: perché non tutti i radio-ascoltatori de “La guerra dei mondi” pensarono si trattasse di una reale cronaca venendo quindi colti dal panico?

    Di recente ho letto su un testo di divulgazione scientifica che i ragazzi violenti (leggi: bullismo) lo sono per indole E ambiente in cui vivono, possedendo tratti di sociopatia (o anti-empatia). Così come non tutti quelli che guardano Gomorra sono potenziali emuli, così a non tutti verrebbe in mente di infilare un compressore nelle viscere di un ragazzino, laddove la madre dice una verità: “Mio figlio non ha colpa: lo ha fatto senza pensare che l’altro poteva farsi male” – anti-empatia, appunto.

  3. Marco Mytwocents

    Se le persone non fossero influenzabili, non si spenderebbero montagne di soldi nel marketing e nella pubblicità.

    Naturalmente nessuno è disposto ad ammetterlo per se stesso.

    Fermo restando il valore “artistico” della fiction, credo che fare della camorra un eroe, anche se negativo, non aiuti certo a far nascere una coscienza di rigetto verso un cancro che è reale.
    Soprattutto in certe zone dove c’è un deficit di valori e la criminalità non chiede altro che di “legittimarsi” come riferimento.

    Imho

  4. layos

    Io penso che tutti noi, in particolare quando siamo giovani e ancora non abbiamo radici fonde, cerchiamo il nostro posto nel mondo. Ci sono persone che si affermano nella propria professione o nel proprio ruolo sociale o che magari hanno il piedistallo su cui poggiano la propria esistenza nella famiglia. C’e’ un bellissimo film che racconta (esagerando) le pieghe diverse che può prendere la vita a seconda di alcune circostanze che, in stile Sliding Doors, creano dei bivi nella nostra vita imboccando i quali le ripercussioni si propagano per tutto il resto della vita: Butterfly Effect.
    Per cui concordo, Gomorra ma anche solo un’intervista a Fabrizio Corona, possono far desiderare a qualcuno di diventare uno “Scarface”. Così come il mio amico scienziato mi confessa che la sua voglia di diventare un accademico che fa ricerca gli sia nata vedendo Piero Angela e Superquark.
    Del resto però vorrei rifuggire dall’idea pedagogica di proporre solo modelli positivi (positivi da che pulpito, poi?).
    Una cosa che mi ha molto colpito nella cronaca degli ultimi mesi è stato il cursus “dishonorum” degli attentatori di Parigi. Gente con radici nell’Islam, che fatica a trovare un posto nel mondo, e che ha pensato di dare un senso alla propria vita abbracciando il fanatismo radicale e la violenza. Non gente che aveva studiato a memoria il Corano nelle madrasse, più probabilmente gente che vedeva nei combatteti islamici qualcuno che aveva dato una ragione alla propria vita, per quanto folle e disarticolata.

  5. Steve Romano

    limitandomi a gioire per la famosa scena della metropolitana

    È un completo aside, d’accordo, ma giacché l’hai fatto tu, e in questo contesto, forse dovresti spiegare: un politico corrotto butta una giornalista sotto la metropolitana, se non ricordo male, e tu hai «gioito»?

  6. hermann

    Magari più che gioito per l’omicidio in sé, era sollevato che non avessero scoperto l’omicida, perché altrimenti sarebbe presumibilmente finito il racconto dell’Underwood politico e sarebbe cominciato quello dell’Underwood galeotto, che magari è meno bello. Io l’ho capita così.

  7. ndreamar

    Una bella sfilza di ovvietà:
    1. è ovvio che i media veicolino opinioni e mode
    2. è ovvio che quanto più si è colti tanto meno si è esposti a influenze esterne (in base al semplice principio di diluizione).
    3. è ovvio che non si può applicare censura senza violare la libertà di espressione.
    La stessa polemica investe periodicamente anche l’informazione (basti ricordare gli episodi dei sassi dai cavalcavia e l’effetto di emulazione riscontrato nei mesi seguenti al primo caso)
    L’unico antidoto è la cultura

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