Balene che lo diventano

La storia di “Blue Whale” è drammaticamente esemplare delle complicazioni conseguenti alla diffusione su grande scala delle notizie false da parte dei media tradizionali (non “di internet”): in Italia non risultavano casi – malgrado la storia girasse online da molto – prima che tutto fosse raccontato da una famigerata puntata delle Iene in tv, e ripreso con assiduità terroristica e quasi quotidiana dai giornali, dalle tv, dalle radio. E questa dovrebbe essere una lezione da segnarsi per chi ancora si racconta che il problema delle false notizie è che sono diffuse “dal web” (figuriamoci se non esistono casini e balle diffuse “dal web”: ma fino a che non ci sarà un’autorevolezza alternativa – e non c’è – siamo spacciati).

C’è un grande quotidiano che ha avuto in particolare un comportamento schizofrenico ma illuminante della contraddizione tra un tentativo di rinnovata cautela conseguente ai tanti discorsi sulle fake news e la deriva sensazionalistico-superficiale di gran parte dell’informazione italiana.
Il 14 maggio viene trasmessa la puntata delle Iene. Mentre montano le reazioni e le discussioni su Blue Whale, il 17 maggio il quotidiano pubblica online un articolo inconsuetamente scettico, di ammirevole cautela.

Una storia vecchia torna d’attualità in Italia a seguito del servizio fatto in tv da Le Iene. Più che una vicenda da «Internet cattiva» sembra una «fake news» rimbalzata e fatta rimbalzare i cui effetti rischiano però di diventare reali

si è innescato quindi una sorta di cortocircuito in cui è difficile capire se un caso isolato è diventato leggenda metropolitana, se la leggenda è stata imitata dalla realtà o se è entrata di mezzo anche una strana storia di marketing virale. Ciò che cercheremo di fare in queste schede è gettare una luce su questo fenomeno, dimostrando che si tratta in gran di un caso, quantomeno in partenza, montato su leggende metropolitane che qualcuno ha cercato di rendere vere per puro calcolo personale. L’unica certezza in questi casi è l’incertezza data dalle dinamiche della rete.

Sono passaggi eccellenti per prudenza, disincanto e “debunking”: con la sola eccezione dell’ultima riga, che sembra trascurare le più rilevanti “dinamiche dell’informazione professionale”.
Oggi, sabato 10 giugno – dopo lo svelamento della falsificazione delle Iene – lo stesso quotidiano pubblica di nuovo sul suo sito una buona guida che fa il punto della storia (era stata preceduta da un lavoro più esteso e approfondito su Valigia Blu), dello stesso autore (un altro articolo un po’ meno accurato occupa una pagina del giornale di carta).

con l’esplosione del caso anche a livello italiano e il moltiplicarsi delle segnalazioni, ha poco senso risalire alla veridicità del fenomeno, meglio dedicare tempo e risorse a definirne la dimensione e gestire la situazione di quella che è diventata una profezia che si autoavvera.

Questo è esattamente il tema, nella questione Blue Whale e in tantissima parte dell’informazione italiana, anche quando riguarda storie e ambiti completamente diversi, come le crisi di governo, o le dimissioni di un politico (o, in questa fiction fino a un certo punto, le rivoluzioni armate). Ne avevamo parlato al Post al momento di scrivere di Blue Whale, qualche settimana prima.

 

 

Molto spesso le discussioni sulle notizie false devono fare infatti i conti anche col fatto che la loro diffusione stessa diventa fattore del loro diventare vere: è inesatto quindi dire che “si autoavverano”, perché non lo fanno da sole, di avverarsi. Al momento non risulta un solo caso dimostrato di qualcuno che abbia assecondato le presunte istruzioni di Blue Whale in Italia: ma è vero che è diventato più difficile affermare con certezza che si tratti di una bufala di cui ridere, perché notizie di casi presunti e rischi che facciano da precedente si inseguono. E infatti, questi sono alcuni esempi di quello che è avvenuto su quello stesso quotidiano nei ventitré giorni tra un pezzo scettico e oculato e l’altro.

Immagino che le attenuanti invocabili per questa enfasi spaventosa di titoli possano essere almeno due: che comunque i fatti vadano raccontati, e che i lettori del grande quotidiano possano essere solo genitori (o nonni) che è saggio informare e mettere in qualche allarme. La seconda cosa è giusta in parte, ma a me non pare che i toni siano quelli che suggeriscono una lucida e ragionevole attenzione: ma è anche sbagliata, perché malgrado i loro pochi lettori le grandi testate continuano ad avere un ruolo di promotore con estese ricadute (nelle tv, nelle radio, nei blog, nei social network) delle cose che raccontano.
La prima cosa è invece quella eventualmente da discutere: a fronte di notizie confuse, parziali, prive di elementi concreti (tutti i casi di cronaca sono citati molto superficialmente e oscuramente), e di una palese quantità di falsi allarmi, è il caso di affollare le pagine e le informazioni di storie riducibili a “forse c’è stato un caso a Pescara ma non ci capiamo niente” e di ipotesi di malvagi istigatori tutti da individuare e confermare? L’articolo del 17 maggio e quello di oggi mi pare facciano rispondere di no: perché il rischio è “la profezia che si autoavvera“. E lo ripeto, non si autoavvera da sola.

 

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