Cose che mi ha detto Diego Piacentini, il giorno dopo i risultati del terzo trimestre di Amazon

Diego Piacentini è il vice di Jeff Bezos alla guida di Amazon da tre anni. Giovedì la società di e-commerce ha diffuso i risultati del terzo quarto (si chiama così; e il prossimo, quarto quarto), valutati positivamente da analisti e commentatori. Al telefono da Seattle, Piacentini mi ha spiegato queste cose.

Che malgrado già con l’ultimo quarto del 2001 Amazon avesse dimostrato per la prima volta di poter andare a profitto, questi dati sono decisivi perché rivelano la profittabilità anche in un trimestre medio, che non è quello natalizio, per forza di cose più favorevole alle attività commerciali online.
Che questi risultati non dimostrano solo che loro di Amazon sono stati bravi, ma che l’e-commerce funziona e potrà funzionare anche per nuovi attori, a patto che abbiano una solida impresa tradizionale alle spalle. Di Amazon non ne nasceranno più.
Che la scelta di azzerare i costi di spedizione per gli ordini sopra i venticinque dollari è stata del tutto vincente. Un investimento gigantesco, a spese di altre attività di marketing, ricompensato dalle economie di scala (accordi a costi minori con Ups e Fed-Ex, eccetera) e da una sensibile crescita degli ordini.
Che tutte le ultime ricerche hanno dimostrato che il primo fattore di ostilità all’acquisto online non è più il timore dell’uso della carta di credito in rete (solo il 4% degli intervistati lo cita come ostacolo) ma appunto i costi di spedizione.
Che malgrado le razionalizzazioni interne abbiano permesso di guadagnare un giorno circa nei tempi di uscita dall’azienda dei pacchi, non si spiega nemmeno lui come hanno fatto gli ultimi due ordini effettuati dall’intervistatore sul sito americano a impiegare meno di una settimana a raggiungere Milano. Che controllerà.
Che gli analisti finanziari sono molto meno diffidenti di un tempo, ormai, nei confronti di Amazon. Che siamo passati da un 80% di ostili a un 50-50.
Che non sa che fine possa aver fatto Ravi Suria, l’analista che si fece una fama predicendo il fallimento di Amazon entro la fine dell’anno per tre anni di seguito.
Che il servizio Amazon Associates, che permette a qualunque sito di costruire dei links verso i prodotti di Amazon e di ottenerne una percentuale sugli acquisti, conta 800 mila affiliati, ed è il maggior strumento di marketing dell’azienda.
Che i motivi che trattennero Amazon dall’apertura di un servizio in italia nel momento di maggior espansione dell’azienda, restano tutti validi, e che quindi un simile progetto non è in vista, per ora.
Che quei motivi sono principalmente due: l’inaffidibilità del servizio postale italiano e la povertà del mercato. In Italia si acquistano pochi libri e pochi cd. La metà che in Francia, dove Amazon aprì nel 1999.
Che l’ipotesi di comprare BOL nei guai non ha mai avuto fondamento: troppi debiti.
Che dopo Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania e Giappone, quest’anno Amazon ha aperto in Canada. Che le divisioni internazionali hanno più che raddoppiato le vendite nel terzo trimestre.
Che le recenti dimissioni del Chief Financial Officer Warren Jenson sono dovute davvero e del tutto a motivi privati e personali.
Che di questi tempi, per un italiano, l’America è il posto migliore dove vivere.
Che il giornale dovrebbe mandarmi a Seattle, una settimana.
Che, ah, non sapeva che Otto e mezzo fosse tutti i giorni.

Abbonati al

Dal 2010 gli articoli del Post sono sempre stati gratuiti e accessibili a tutti, e lo resteranno: perché ogni lettore in più è una persona che sa delle cose in più, e migliora il mondo.

E dal 2010 il Post ha fatto molte cose ma vuole farne ancora, e di nuove.
Puoi darci una mano abbonandoti ai servizi tutti per te del Post. Per cominciare: la famosa newsletter quotidiana, il sito senza banner pubblicitari, la libertà di commentare gli articoli.

È un modo per aiutare, è un modo per avere ancora di più dal Post. È un modo per esserci, quando ci si conta.

Abbonamento mensile
8 euro
Abbonamento annuale
80 euro