Senza ma e senza però

Stamattina volevo scrivere che più deludenti di quelli che sghignazzano vedendo la faccia di un vecchio coperta di sangue e tagli, sono quelli a cui pare il caso di dire che “però” e che “comunque”, e che anche oggi hanno centrale nella loro valutazione delle cose l’analisi di quel che dicono Emilio Fede o Bonaiuti. Avevo pensato che ci sono giorni in cui bisognerebbe imporsi di non scrivere “però”: di fermarsi subito prima, per un giorno.
Poi ho pensato che avrei dovuto spiegare come questo auspicio conviva con la mia riprovazione per i “senza se e senza ma”, che avrei dovuto spiegare che non basta che le cose siano vere per renderle degne o no di essere dette, e che alla fine avrei a mia volta detto cose fuorvianti, e ho lasciato perdere.
Vedo che Mario Calabresi è andato invece dietro allo stesso pensiero.

Ci sono momenti in cui bisognerebbe abolire due parole: ma e però. L’aggressione di un uomo, in questo caso di un primo ministro, è uno di quelli. Di fronte alla violenza non possono essere accettate subordinate, ammiccamenti o tantomeno giustificazioni. Il giorno che la politica italiana tutta lo avrà compreso fino in fondo, allora sarà davvero matura.
Il volto ferito e pieno di sangue di Silvio Berlusconi non può che lasciare sgomenti, non riesco ad immaginare una persona seria o che ami definirsi democratica e perbene che possa avere una reazione diversa.

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