Le regole dal basso

Michele Serra, su Repubblica oggi.

Ignoro quali siano le idee politiche della preside del Trevigiano che ha proposto una “felpa scolastica”, uguale per tutti gli studenti, per contrastare la dipendenza dalle griffe e come “simbolo di democrazia e di uguaglianza”. Ma sono d´accordo con lei. Vengo da una generazione che si ribellò alle divise, al formalismo, alle regole imposte dall’alto. Non potevamo (o non sapevamo) immaginare che le regole imposte dal basso potessero essere perfino peggiori. La soggezione alle mode, la sbracatezza come scorciatoia per sentirsi “qualcuno”, l´ostentazione del proprio potere d´acquisto fino dalla preadolescenza, sono diventate appunto “regole”, non per autoritarismo ma per conformismo sociale.
L´idea di reintrodurre le divise scolastiche, in questo clima e in quest´epoca, ha dunque qualcosa di nuovamente sovversivo: l´infrazione di regole – quelle del conformismo modaiolo – che sono più pervasive e più subdole di qualunque regolamento scolastico. La divisa scolastica diventa una forma di anticonformismo attivo. Il suo unico difetto è essere suggerita o imposta dagli adulti, e non è un difetto da poco. Ma almeno ristabilisce una dialettica vivace, e contrastata, tra adulti e ragazzi, piuttosto che il pigro, sterile, noioso sopportarsi a vicenda.

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16 commenti su “Le regole dal basso

  1. ludwigzaller

    Bellissime le divise scolastiche che vengono utilizzate in molti paesi del mondo, dall’Inghilterra al Giappone. L’immagine della studentessa giapponese in divisa è uno dei topoi dei manga. Temo invece che la felpa imposta d’ufficio possa trasformare le scuole in succursali di “Amici” di Maria de Filippi.

  2. EmmeBi

    Non posso essere più in disaccordo. Se proprio il conformismo modaiolo dà così fastidio proviamo a far capire – culturalmente, pedagogicamente – che una griffe non cambia la vita e non muta l’identità e la personalità delle persone. Proibendo e mettendo un uniforme si dilata soltanto il “problema”.

  3. ilbarbaro

    In verità, anche le mode sono imposte, surretiziamente, dall’alto, con la pubblicità e i modelli che propone. Il bello è che certi idioti perfetti vengono pure assunti essi stessi a modello: vogliamo parlare del fenomeno delle felpe FIAT, per esempio?
    Le divise delle public school servono come indicatore di classe, perché rimarcano l’appartenenza a istituti in cui non tutti possono permettersi di far studiare i loro figli.
    Quindi, la proposta della “divisa” andrebbe bene solo se fosse a livello nazionale, indistinta e generale, ma ce le vedete le orgogliose scuole cattoliche cui si da togliendo proprio ai bisognosi rinunciare alla loro identità? Il grembiule andava bene, per tutti, per tutto il tempo, ma è davvero questo il problema della scuola?

  4. vietatocosare

    A parte che mi sembra un pezzo da vecchio solone (“I giovani di oggi sono tutti conformisti, noi sì che eravamo rivoluzionari. Mettiamoci un pò a litigare noi con loro…”), la cosa più preoccupante, o ridicola, della scelta della preside del trevigiano è la giustificazione, quando dice che è “una scelta di libertà, perché affranca ragazzi e genitori dal dover decidere ogni mattina cosa indossare, permettendo di avere più tempo ed energie da dedicare davvero a se stessi”.

    Ecco, questa concezione della libertà èda analfabeti liberali, e molto in linea con una cultura politica che ha prodotto obbrobri grandi come la Legge 40 o piccoli come il divieto di sedersi sulle panchine se si ha meno di 70 anni.

    Il virgolettato si trova nell’articolo, o qui: http://vietatocosare.blogspot.com/2010/04/la-liberta-di-non-poter-scegliere.html

  5. Tommaso Denti

    proposta naive. dimentica che la scuola è anzitutto un esperimento di vita, poi un’istituzione didattica. da questa prospettiva, l’affermazione identitaria non è un ostacolo allo studio, ma una parte essenziale dell’esperimento. i ragazzi esprimono se stessi attraverso il proprio corpo, dunque anche attraverso i propri vestiti.
    inoltre, meglio il conformismo modaiolo che il conformismo sessantottino. il primo ha fatto meno danni del secondo.

  6. paolo.cosseddu

    Di Michele Serra, che mi piaceva così tanto vent’anni fa, mi sembra di leggere sempre lo stesso articolo, riscritto all’infinito, un po’ come quando Biagi attaccava con la storia della scritta sul muro “Andatevene tutti, lasciateci piangere”. Con la differenza che Serra è molto più giovane, e ha iniziato a suonare il trombone molto prima. La tesi è sempre la stessa: la generazione degli anni Sessanta-Settanta, la meglio gioventù, e tutto quel che è venuto dopo è barbarie e va temuto. Operazione intellettuale logora, che usa sempre gli stessi argomenti e che non si spinge mai oltre il luogo comune e l’analisi superficiale, e che si reitera con lo strumento di Repubblica: un giornale nato per grazia di nobiltà decadute e borghesia forse un tempo illuminata, ma presto divenuta profondamente conservatrice, e che tiene i suoi lettori in un eterno oscurantismo. Troppo severo? E’ che sono un po’ stufo, e l’aria stantia non è solo quella che si respira in politica. E i problemi di questo Paese non vengono solo dal “nemico”.

  7. ntropia

    >Vengo da una generazione che si ribellò alle >divise, al formalismo, alle regole imposte >dall’alto.

    Quello che mi dispiace e’ che a nessuno viene in mente di ammettere che la “sbracatezza” sia il frutto di un rifiuto delle regole, del formalismo e delle regole imposte dall’alto che la generazione di genitori di ora ha fatto proprie e ha trasmesso alla propria prole.

    Mentre in altri posti il sistema ha raggiunto un suo equilibrio, in Italia, con il suo senso civico ipotrofico, il processo di rifiuto e’ andato avanti fino ai risultati che abbiamo sotto gli occhi, in cui le regole sono una noiosa eccezione. Voglio vedere quanti genitori saranno contenti dei soldi risparmiati e quanti insorgeranno per difendere la liberta’ di espressione dei propri figli.

  8. looreenzoo

    che tristezza Serra: la libertà, intesa come possibilità di darsi autonomamente le proprie regole, è una cosa che va costruita giorno per giorno; non è che al primo accenno di conformismo sociale si può tornare indietro. la proposta di reintrodurre la divisa scolastica mi sa solo di sconfitta e nostalgia.

  9. dexter

    di questo estratto di serra mi colpisce innanzitutto la frase iniziale, perchè rivela un modo di pensare molto diffuso, quasi ‘uniforme’ della generazione che mi precede. e se la preside fosse una cripto nazista? meglio cautelarmi dicendo che non ne so nulla a riguardo.

    trattandosi di una scuola media, la libertà espressiva del look dell’alunno passa attraverso la volontà (e la possibilità) del genitore di assecondarla. le responsabilità del figlio griffato sono senz’altro del genitore, mi spiace se qualcuno crede nell’auto determinazione assoluta dei dodicenni o nel fatto che per loro i regolamenti valgano sempre meno delle concessioni che valgono sempre meno delle richieste dal basso.

  10. Laura Passera

    Anche io concordo, alla grande. E trasecolo per tutte le seghe mentali che vi fate. Libertà espressiva del look? Io trovo piuttosto che ci sia una forma di schiavitù proprio verso il dovere e volere essere a tutti i costi trendy. Evviva la felpa che ci libera dal conformismo modaiolo, che ci rende tutti uguali, che elimina le gare a chi è più fico, gli obblighi dei genitori all’acquisto dei capi griffati senza i quali i figli, poverini, si sentono inferiori… ho visto e sentito cose così stupide, in questi anni, che non posso che applaudire all’iniziativa del preside, e magari fosse così dappertutto. La libertà di espressione si manifesti col cervello, e non con gli abiti.

  11. ilmetapapero

    questa storia mi ricorda una lettura guareschiana della mia gioventu’.

    C’erano lui, Giovannino Guareschi, e la sua domestica che discutevano sulla prima comunione della di lei figliola. Il problema era che il prete progressista (eravamo nei 60 credo) aveva imposto la tunica uguale per tutti e la cosa aveva fatto infuriare la domestica. Guareschi, sorpreso, le aveva chiesto perche’, visto che di primo acchito lui era d’accordo con l’egualitarismo pretesco. La domestica ribatte’ dicendo che era una falsa eguaglianza perche’ tanto, le altre bimbe, le ricche, dopo la cerimonia avrebbero festeggiato splendidamente in bellissime ville, avrebbero avuto bellismi regali mentre sua figlia non avrebbe avuto neanche la soddisfazione di potersi vestire splendidamente, come loro. Conclusione: la domestica era inviperita perche’ doveva spendere piu’ delle riccastre prima per prendersi la tunica di ordinanza, poi per prendersi il vestito che piaceva a lei per addobbare la figlia e farle fare le foto ricordo.

    PS Ho visto i poveri sfigati in divisa (e’ proprio una divisa perche’ divide maschi e femmine, non un uniforme) felpata, e mi son chiesto quando scoppiera’ il caldo il preside ordinera’ di venire con short blu e rossi e polo bianca, o viceversa?

  12. Charley

    Sottoscrivo il commento di paolo.coseddu al mille per mille. Purtroppo Serra, pur avendo ancora una scrittura tagliente e precisa tende ormai a tromboneggiare sbracando pesantemente. I triti luoghi comuni sul conformismo modaiolo dei ggiovani sono, seppur dotati di un fondo di verità,la solita demonizzazione astiosa verso dei ragazzini che hanno tutto il diritto alla loro età di essere pirla.Qui si usano come paragone le fighissime scuole inglesi, in quello che mi pare solo la stessa concezione modaiola, solo che invece che ragazzini che sognano la griffe ci sono ultatrentenni che si fanno il viaggio sulla sempre trendy Inghilterra stilosa.
    Riguardo poi “la felpa che ci libera dal conformismo modaiolo, che ci rende tutti uguali, che elimina le gare a chi è più fico”, non voglio fare una reductio ad hitlerum, ma mi pare sia n concetto facilmente applicabile al burqa talebano.

  13. eliakree

    Ma si…d’accordo con la preside e con Serra.

    E per quanto riguarda la frase della preside: ““una scelta di libertà, perché affranca ragazzi e genitori dal dover decidere ogni mattina cosa indossare, permettendo di avere più tempo ed energie da dedicare davvero a se stessi”, anche qualcun’altro la pensava così:

    “Quando cominciai a lavorare con lui a 2001: Odissea nello Spazio mi stupiva il fatto che fosse vestito sempre allo stesso modo: giacca blu, maglietta blu, pantaloni neri e scarpe nere. Un giorno gli chiesi provocatoriamente “Stanley non hai notato che esistono altri capi di vestiario? […] Kubrick mi chiese
    “Ma tu perdi tempo la mattina nello scegliere cosa indossare? E’ una perdita di tempo. Potresti fare altro di più importante al posto di perdere tempo così.”

    Julian Senior collaboratore di Kubrick

  14. Alessio Breviglieri

    In realtà credo che non sia un vero problema, lascerei decidere caso per caso cosa fare, non è detto che un modello sia migliore dell’altro. Io ad esempio ho dei ricordi molto interessanti legati al mio orrendo vestiario delle medie e del liceo, ma se avessi usato la divisa probabilmente ne avrei degli altri (magari più legati alla sfera erotica).

    In questi contesti innocui credo sia utile lasciare che si sperimentino soluzioni diverse, non è sempre detto che una scelta sia ovunque migliore di un’altra.

  15. Paolo192

    Scusatemi, dove si trovano le “amache” di Serra su internet? Non riesco a trovarle …

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