Adescamento via tweet

I grandi temi delle due crisi del giornalismo e dei grandi media – la crisi economica e la crisi di senso e qualità – si aggrovigliano e rincorrono. Le difficoltà a ottenere i ricavi di un tempo spingono quasi tutti verso affannose e spaesate ricerche di grandi numeri facili, che si ritiene – anche con qualche ragione – di ottenere più facilmente con contenuti di scarso valore e scarsa affidabilità giornalistica. E l’abbassamento della qualità e delle peculiarità proprie di esperienze e professioni giornalistiche priva queste ultime di senso e di ruolo: perché devo leggere piccole frivolezze copiaincollate e spesso false sul sito di un grande giornale, quando le trovo su qualunque blog di persone che fanno altro? E così la gente abbandona i giornali e smette di fidarsene. Eccetera.
Dico per farla semplice, che la questione è ricchissima e densa.

Dentro la questione, tra le altre cose, c’è il ruolo sempre più importante – nel sistema dei media – della promozione dei contenuti rispetto alla loro produzione: della capacità di venderli. Su internet, dove gran parte del traffico deriva dalla tua capacità di raggiungere nuovi lettori ogni volta con ogni contenuto – piuttosto che ottenere che i lettori ti vengano a cercare – ormai comunicare e spacciare le news conta più che scriverle e confezionarle: fa più traffico un articolo dell’anno scorso riposizionato su Google e sui social network, che uno di oggi messo in un angolo della homepage e basta. Che non c’è niente di male, se l’articolo è buono o resta attuale; per inciso.

In quest’ottica, sono cambiati anche molto i modi e i linguaggi con i quali le news vengono comunicate e promosse: e sono diventati molto più da piazzisti che da informazione. Titoli, tweet, status su Facebook, oggi per i siti di informazione non hanno più tanto la funzione di dare informazioni, ma di ottenere che l’utente ci clicchi sopra alla ricerca di informazioni nascoste e forse contenute nel link associato. Faccio un esempio estremo, ma non campato in aria: alcuni siti di news oggi non twittano “È morto Arnoldo Foà”, ma “È morta una leggenda della tv e del teatro” (forse il teatro non lo mettono, che respinge). E non è così estremo, perché un po’ più in più in là c’è invece il tweet “hooker”, adescatore, “catchy”, “teaser”, “click bait”: che con formulazioni interrogative, criptiche, creative, suggerisce all’utente mirabolanti sorprese o misteri svelati se cliccherà sul link. O, altrettanto frequente, “quando leggerete questa cosa salterete sulla sedia”, “non immaginate cosa sia successo”, eccetera. Approccio abusato dai venditori e piazzisti – siano essi aziende o Beppe Grillo o nuovi media come Upworthy – ma che sta da tempo traboccando nel marketing social delle redazioni giornalistiche.

Ieri questo traboccare ha raggiunto un nuovo limite che ha scandalizzato in molti: lo scandalo potrebbe essere una buona notizia, ma io temo sia solo un nuovo spostamento del limite a cui dopo questo precedente andremo abituandoci, e altri lo prenderanno come modello e precedente, e la prossima volta sarà ancora peggio. E così via.
Comunque, questo è il modo in cui CNN ha deciso di segnalare la terribile storia di una bambina di 14 anni che ha ucciso violentemente a coltellate sua sorella di 11.
Tenetevi forte e teniamoci per mano.

 (“Quattordicenne ha accoltellato la sorellina 40 volte, dice la polizia. Il motivo per cui l’ha fatto vi sconvolgerà”)

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7 commenti su “Adescamento via tweet

  1. Giorgio T

    Ehm, mi riferivo a questo tweet di Bruno Vespa di ieri sera: “Siete omosessuali,avete cercato di diventare etero e non ci siete riusciti? Stasera #portaaporta è fatta per voi?”

  2. granmadue

    La mia minuscola forma di resistenza consiste nel non cliccare mai – anche quando sono effettivamente incuriosito – su questi “dico-e-non-dico”.

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  4. Pingback: I miei twitt Adescamento via tweet http://t.co/VuNNxurydr

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