La fine dell’autorevolezza

Malgrado la estesa concorrenza, tendo a pensare che il più grande problema del mondo di questi tempi sia la fine dell’autorevolezza, demolita strumentalmente dal concorso di sforzi di chi non la vuole accettare essendone escluso e di chi l’ha tradita essendone titolare.

Detto in parole povere, stiamo smettendo di riconoscere un’autorità morale, civile e sostanziale a qualunque istituzione o persona o principio che un tempo era condiviso. Come se in una partita di calcio – le metafore finiscono tutte lì – le squadre non riconoscessero più l’arbitro, ma neanche i rispettivi allenatori e poi nemmeno le regole. Questo avviene nei campi e nei settori più diversi, ma le conseguenze più gravi riguardano i poteri principali, a cui abbiamo affidato il grosso della gestione del funzionamento delle nostre società e comunità.

Con la magistratura i due fattori di perdita di autorevolezza sono particolarmente noti e familiari: un’istituzione che ha abusato storicamente dei suoi poteri da sempre (da Ponzio Pilato al Giudice di De André) e che in Italia incute più paura che rassicurazione oltre che funzionare male per sua costituzione e organizzazione, ha mostrato negli ultimi vent’anni di voler spesso andare oltre il proprio ruolo per fini discutibili a dir poco, ed è stata al tempo stesso strumentalmente e insistentemente attaccata da chi ne è stato vittima con la coscienza sporca (le vittime con la coscienza pulita di solito non ottengono niente). Soltanto l’enorme e ricattatorio potere – incomparabile agli altri – che la magistratura ha in Italia ha fatto sì che malgrado questo processo di delegittimazione quel potere venisse tuttora conservato.

Non è successa la stessa cosa con la politica e con l’informazione, a cui pure è successa la stessa cosa. Con due percorsi molto simili entrambe le categorie hanno negli ultimi decenni mostrato di sé gli aspetti più deludenti, mediocri e traditori dei loro delicatissimi ruoli. Certo, come nel caso precedente sono istituzioni piene di eccellenti persone che fanno bene e generosamente cose preziose, non c’è bisogno di dirlo. Ma i primi responsabili della propria delegittimazione sono questi settori e i loro fallimenti: che forse non sono aumentati nel tempo ma per ragioni diverse sono diventati più vistosi e insopportabili. Di questo si sono approfittati in cattiva fede movimenti demagogici e personaggi sgomitanti (il giornalismo poi ha concorso alla delegittimazione della politica senza che avvenisse il contrario, quindi la politica sta messa peggio), trasformando i fallimenti e i limiti in occasioni di demolizione dei principi stessi invece che in proposte per la loro migliore applicazione: è già successo nella storia che le inadeguatezze dei loro rappresentanti mandassero in crisi le democrazie e le facessero rimuovere. Oggi vediamo in giro sia venditori di regimi forti che di reinvenzioni truffaldine della democrazia.

Inciso: quando, quotidianamente, al Post mettiamo in discussione e critichiamo i fallimenti e le conseguenze di molta informazione delle testate maggiori in Italia, stiamo facendo la stessa cosa? Stiamo sgomitando demagogicamente per rosicchiare lettori e spazi a istituzioni consolidate? È una domanda che non è sbagliato farci, e non è sbagliato farsi. La mia risposta è “no, stiamo cercando di incentivare la ricostruzione di un principio, quello dell’informazione accurata e di qualità, fondamentale per la democrazia, e di partecipare a questa ricostruzione. Siamo alla fine conservatori, non sovversivi”. Ma magari me la racconto, o ve la racconto, ed è la stessa cosa che si dicono Grillo, Salvini o Trump. La risposta vera sta nelle cose che facciamo e come le facciamo, e non posso darla io.

Pensiamo, in tutto il mondo, che non ci sia più niente e nessuno di cui fidarci – nemmeno della scienza! – e ci avviciniamo ipnotizzati a chi soffia sul fuoco di questo pensiero, salvo diffidarne rapidamente (questo è un minimo antidoto alle catastrofi durature: che chi predica forconi presto riceve forconi lui stesso). Non esiste più l’autorevolezza non solo delle istituzioni suddette ma della stessa verità come avevamo deciso di approssimarla fino a oggi (da cui l’idea della “post verità“). A questa demolizione concorre anche una sempre maggiore spinta individuale alla competizione e all’affermazione di sé, creata dai mass media prima e da internet poi ancora più rapidamente: ci sentiamo richiesti di risultati personali continui – successi di carriera o vittorie istantanee in una discussione al bar o sapere prima degli altri una sciocchezza – e una scorciatoia per ottenerli è la diminuzione dei risultati altrui insieme alla delegittimazione dell’arbitro o delle regole. Non riconoscere le autorevolezze diventa uno stato mentale continuo per non vivere se stessi e ciò che si pensa come fallimenti.

È un circolo vizioso: le autorità perdono autorevolezza, noialtri gliene riconosciamo sempre meno, eccetera. Si rompe un “patto” che andrebbe rispettato in due: io ti rispetto, tu ti comporti bene. Ma come sempre a questo punto del discorso, cito l’Uomo Ragno: “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”. Sono le autorità a dover interrompere il circolo vizioso, dimostrandosi straordinariamente eccezionali e autorevoli ogni giorno, perché ogni piccolo fallimento (“e che vuoi che sia! Tu non sbagli mai?”) sgretola il mondo che è appoggiato su quella autorevolezza. Sono i media a non potersi perdonare cialtronate, abusi, falsificazioni e derive sessiste, e a non poter chiudere un occhio: per quanto i lettori siano spesso ignoranti, violenti, sciocchi, presuntuosi. Da grandi poteri derivano grandi responsabilità. Lo stesso vale per la politica e gli elettori, e per la magistratura e i cittadini, anche quelli criminali.

Ma sta andando un po’ come sta andando, mi rendo conto.

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Un commento su “La fine dell’autorevolezza

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