Le notizie false trattate seriamente

Il Consiglio d’Europa ha pubblicato una ricerca di un centinaio di pagine commissionata alla non profit First Draft (che si occupa di etica e accuratezza nel giornalismo) e prodotta da Claire Wardle: è dedicata ai “Disturbi dell’informazione” (Information disorder), che è l’espressione con cui gli autori preferiscono chiamare, spiegandone le ragioni, il tema delle “fake news” e compagnia.

La ricerca è qualcosa in più, e ben fatto, rispetto alla banalizzazione con cui il problema viene trattato spesso da un anno a oggi: sia perché è un’analisi lunga e scientificamente accurata – che cerca di codificare le diverse sfumature del tema di cui parla, che sono appunto diverse – e sia perché arriva a delle conclusioni e a dei suggerimenti ragionati e non pigri. Ne segnalo alcune cose sparse, consigliandone la lettura a chi si occupa della questione (che dovrebbero essere almeno tutti i giornalisti).

1. Ci sono diversi passaggi sui progetti di insegnamento e formazione dei lettori, sia in generale che nelle scuole. Gli autori raccomandano di non fermarsi al superficiale “spieghiamo ai ragazzi come riconoscere le notizie false”, perché è necessario capire quali meccanismi psicologici ci orientano a credere e a volere credere alle notizie false, e come lavorare su quelli (i progetti presentati in Italia in questi giorni suonano un po’ sbrigativi, in questo senso: mi auguro che i loro promotori leggano questo testo, e anche questo articolo sulle difficoltà da tenere in conto). Non è più vero, come ad alcuni amanti delle frasi fatte piace ripetere, che “la forza dei fatti vince”: vince la forza delle opinioni, e con questo bisogna fare i conti. Come si diceva l’altroieri qui, non è con la forza dell’aver ragione che si vince questa cosa.

2. La ricerca riconosce, citando Jeff Jarvis, che “il nostro problema non sono le fake news”, ma la credibilità del giornalismo, dentro il generale problema della credibilità delle istituzioni e della conoscenza. Potrebbe dedicare più spazio alle responsabilità del giornalismo, in questo: ed è l’unica critica che le faccio.

3. C’è un passaggio molto importante – che vale la pena discutere – sulle strategie più efficaci contro la diffusione di notizie false. È importante perché fa il passo più in là – lo hanno fatto in molti da anni, ma quello che esce sui giornali è invece sempre “serve fact checking e credibilità” – di ragionare con la testa degli interlocutori: ovvero dei diffusori di false notizie e dei lettori che le prendono per buone. Si chiama “Silenzio strategico”, e lo incollo qui.

Strategic Silence
As Data & Society outlined in their May 2017 report Media Manipulation and Dis-information Online, “for manipulators, it doesn’t matter if the media is reporting on a story in order to debunk or dismiss it; the important thing is getting it covered in the first place.”202 Certainly, during the weekend of the #MacronLeaks, Ryan Broderick of Buzzfeed reported that members of 4Chan discussion boards were linking to stories debunking the information, and celebrating them as a form of engagement.203 While reporting on these stories, and the people behind the stories, feels a natural response by journalists at this point in time, there is a real need for the industry to come together to discuss the impact of reporting on disinformation, and providing oxygen for rumours or fabricated content that otherwise would stay in niche communities online. We would recommend cross-industry meetings whereby senior editors could discuss whether there is a need to reach a shared agreement on when a rumour or piece of content crosses a tipping point, and moves from niche online communities to a wider audience. The French rules which prevented any discussion of election related topics for the forty-eight hours before the polls closed, meant there was no discussion of the leaks by the mainstream media in France, something which raised eyebrows amongst US journalists. The idea of strategic silence in the coverage of mal- and dis-information might sit uncomfortably with some, but we would argue there is a need for these conversations to take place.

4. La ricerca si conclude con “35 consigli” destinati a diversi referenti (governi, media, fondazioni…). Otto sono per i giornali, e visto che siamo un giornale le abbiamo prese in considerazione.
Una è collaborare: al momento i produttori italiani di news che diano garanzie e fiducia sulla priorità dell’accuratezza e del fact checking nel loro lavoro sono pochi e piccoli, ma ci sono. Il Post ci collabora con complicità e grande rispetto per il loro lavoro, ma è giusto farlo di più. I più grandi non mostrano interesse al tema, nei fatti, e non si può collaborare con chi è parte del problema.
Sul silenzio strategico: come dice il passaggio sopra, è una cosa a cui vale la pena pensare. Il debunking di una notizia è sempre utile, o rischia di darle più spazio presso chi le vuole credere comunque? Ci pensiamo, anche se credo siano vere entrambe le cose, e alla fine la prima prevalga.
La terza cosa è una raccomandazione sugli standard etici di accuratezza e sull’evitare il sensazionalismo, anche sui social network (vedi questo): raccomandazione molto preziosa e utile presso i media italiani.
La quarta è che il lavoro di debunking sia destinato non solo alle notizie ma alle stesse fonti, rivelando chi diffonde le notizie false, come e perché. E possiamo lavorarci di più e meglio: a patto che – la ricerca non lo segnala – tra queste includiamo anche alcune maggiori testate giornalistiche.
La quinta è un lavoro di formazione dei lettori, con la spiegazione dei meccanismi di verifica e individuazione dei falsi: ci abbiamo scritto un libro, ne parliamo spesso.
La sesta è il consiglio di sottolineare le ricadute per le democrazie e le società della diffusione delle notizie false: e su questo siamo persino noiosi.
La settima è che bisogna fare attenzione alla qualità dei titoli, ancora di più in tempi di social network: e mi pare che ne abbiamo parlato in abbondanza.
L’ottava è non diffondete contenuti inventati.

News organisations need to improve standards around publishing and broadcasting information and content sourced from the social web. There is also a responsibility to ensure appropriate use of headlines, visuals, captions and statistics in news output. Clickbait headlines, the misleading use of statistics, unattributed quotes are all adding to the polluted information ecosystem.

 

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