Non è uno scontro di civiltà. Avete voglia di perdonare e rimandare a casa tutti quei poveri militanti di Al-Qaeda? Dite la verità. Ci tenete a che abbiano il migliore avvocato, a che la giustizia sia paziente con loro? Vorreste sapere di più di loro, dei loro genitori, vorreste vedere le loro foto da bambini afgani, prima delle barbe e dei turbanti? Vorreste sapere perché sono diventati potenziali assassini, o assassini? Non è uno scontro di civiltà, no. Direste di arabi, somali, afgani, che si sono allenati ad ammazzare e diventare fanatici, “poveracci, sono stati plagiati”? Vi intenerite a guardare negli occhi dei possibili assassini di giornalisti occidentali? Li chiamate con un nomignolo, come Johnny, per esempio? O volete dire che anche il mullah Omar lo chiamate così per affetto? Il buon vecchio Omar, quel povero Johnny.
John Walker – il diminutivo Johnny è stato inventato dalla stampa italiana per provinciale ed etilica assonanza, in America lo chiamano solo John – ha dichiarato di essere stato addestrato nei campi di Al-Qaeda. Forse ha visto bin Laden (quel buon diavolo di Osama). Ha preso parte alla rivolta nel carcere di Mazar-el Sharif in cui è stato ucciso l’agente della CIA John Spann. Tre anni fa disse di considerare giusto l’attentato alla motonave americana Cole nel mare dello Yemen, che fece 17 morti. Un fanatico integralista esattamente come ce li andiamo figurando da tre mesi. Un potenziale assassino esattamente come li andiamo temendo da tre mesi. Una persona uguale a migliaia di altre di cui non ci interessano nome, cognome, infanzia e perdono. Andiamo sostenendo che non è uno scontro di civiltà, che arabi o occidentali, cristiani o musulmani, per noi pari sono. Che non ce l’abbiamo con gli afgani. Ma l’unico afgano musulmano per cui abbiamo compassione è americano. L’unico per cui si chiede una giustizia giusta e non tribunali speciali. Spiegateglielo, agli altri, che per noi tutti gli uomini sono uguali. Che le parole del padre di Walker che ci commuovono, valgono per tutti loro: “Voglio abbracciarlo, e dargli un calcio nel sedere per non averci detto cosa stava combinando”. Che vogliamo bene al signor Lindh, ma anche a tutti i padri di talibani dell’Afghanistan. Che sono tutti “poveracci finiti dalla parte sbagliata”, per cui bisognerà avere compassione: questo dirà George W. Bush di ognuno di loro. Se questo non è uno scontro di civiltà.
John Walker non significa niente. Non è uno spaccato sociale. Non è un esempio. È un caso umano straordinario, un fenomeno da baraccone mediatico, una storia che pare inventata. Un Timothy McVeigh, un Erika-e-Omar (non il buon vecchio Omar). Uno sfigato. Dei nostri, ma uno sfigato. Fanatico e pericoloso, ma uno sfigato, come i ragazzi di Columbine. A vent’anni si è stupidi davvero. Non è nemmeno un traditore, il reato di tradimento applicato a lui è ancora più ridicolo. Cosa avrebbe tradito, i Beach Boys? John Walker significa solo questo: è uno scontro di civiltà. Altrimenti sarebbe giusto che venisse processato equamente se ha commesso dei crimini, come tutti gli integralisti criminali. Altrimenti sarebbe normale che sapessimo nome e cognome almeno di un altro talibano. Invece no. E allora ripuliamo e sbarbiamo Kaspar Hauser: fuori il vitello grasso per il povero Johnny, e al diavolo li turchi.
Scontro di civiltà e sfigati
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