Chi di paragone ferisce

“Naturalmente c’era una differenza percepibile anche da un ragazzino di dodici anni: quando rubi una macchina, qualcuno resta senza la macchina. È un’operazione a somma zero. Il proprietario si trova di fronte un posteggio vuoto e niente macchina. Ma quando scarichi una canzone da internet, la canzone è sempre lì. Il download di musica è un gioco a somma infinito, e tutti lo sapevano”. Questo spiega Steven Levy, uno dei più grandi esperti di storia di Apple e del web, nel suo recente libro dedicato al fenomeno iPod (“The perfect thing”, Simon & Schuster), a proposito della fragilità dei primi spot antipirateria musicale.

Le strategie terroristiche contro la pirateria musicale in rete sono sempre state sciocche e controproducenti. Ancora più lo sarebbero oggi che la discografia ha trovato degli spazi di convivenza civile e legale con il commercio di musica online, e ha tra le sue priorità riguadagnare il rapporto con i clienti, gli appassionati di musica, trattati negli anni scorsi solo come delinquenti o potenziali delinquenti. Lo stesso vale per l’industria dello spettacolo e del cinema, che è arrivata sulla questione poco più tardi.

Invece, nei DVD, e ogni volta che andiamo al cinema, vediamo quello spot grave e teso che assimila la copia dei film allo scippo e al furto d’auto. Nei cinema la gente sbuffa, qualcuno fischia, e a tutti viene inevitabilmente voglia di fare copie pirata di qualsiasi cosa. Per spiegare ai suoi ispiratori la sventata inefficacia del messaggio, provo a ribaltarlo: se sapeste che prendendo una macchina in un parcheggio, una macchina identica resterebbe lì comunque, vi parrebbe altrettanto criminale e grave prenderla? Se sapeste che rubando un Munch in un museo, il Munch resterebbe sulla parete, e voi ne avreste uno da appendere in salotto, vi sentireste altrettanto in colpa? Sì, ancora un po’, forse: ma provate a spiegarlo ai ragazzini.

Bisogna stare attenti, con i paragoni.

Vanity Fair

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