Intervista col regista

Il nuovo film di Paolo Virzì “Tutta la vita davanti” (molto bello, nota del blogger) esce questo weekend nei cinema e parla di un tema assai discusso soprattutto in questa campagna elettorale: quello del lavoro precario in Italia e del rapporto dei giovani con questo mondo. Gli attori sono Isabella Ragonese, Sabrina Ferilli, Elio Germano, Massimo Ghini e Valerio Mastandrea. Come in altri suoi film (Ferie d’agosto, Ovosodo, Caterina va in città), Virzì racconta com’è fatta l’Italia, mostrandone le cose peggiori, ma sempre con grande tenerezza.

Con i film, si possono cambiare le cose?

Io mi sono sempre appassionato a un concetto che predicava Cesare Zavattini: “il cinema dev’essere anche utile”. Che non vuol dire che il cinema possa cambiare il mondo, ma che possa aiutare a capirlo, che è già un bel passo avanti. Poi bisogna mantenere sempre una misura di leggerezza in quello che si fa: “Sono solo canzonette”, diceva quello, e i film sono solo film

E cosa si capisce guardando “Tutta la vita davanti”?

Mi illudo che i ragazzi che si aggirano per i centri commerciali vedano il film e possano acquistare una consapevolezza, anche ironica, sulla loro condizione. Ricordiamoci che noi abbiamo avuto un momento nella storia del paese e del cinema che qualcosa ha cambiato. La commedia all’italiana ci ha raccontati ironici e capaci di scherzare sul carattere nazionale, e ci ha cambiati: venivamo dal Ventennio fascista, eravamo il paese dell’autocelebrazione, della solennità patriottica. Siamo diventati ironici, autoironici. Se il cinema aiuta a non prendersi sul serio, fa una buona cosa.

Ma il rischio non è che poi si perda la capacità di prendersi sul serio, e si finisca per credersi solo macchiette dell’italianità scherzosa?

Il rischio c’è, come mostrava Nanni Moretti quando diceva “Ce lo meritiamo, Alberto Sordi”. Ci sono commedie animate da uno spirito gaglioffo che tendono a peggiorare lo spettatore e a incanaglirlo. Ma ce ne sono altre che hanno una pietà umana, che trattano lo spettatore con rispetto e i personaggi con affetto e speranza.

Ma a lei non interessa riguadagnare un po’ di orgoglio nazionale?

Mi interessa: sono livornese come Ciampi, e credo che sia importante. Io credo di coltivare un sentimento nazionale malgrado tutto: sono insieme infelice e orgoglioso di essere italiano. Sono disperato e contento. È vero che siamo un paese poco serio, in cui il familismo è degenerato in tendenze che non si trovano in altri caratteri europei. Ma siamo anche un paese capace di non prendersi troppo sul serio, grazie a quel misto di ironia e tragedia. Gli inglesi pensano che ci sia “time for fun and time for work”, un tempo per divertirsi e un per lavorare. Noi siamo capaci di tenerli assieme: ci manca quella serietà grigia necessaria a governare, forse, mentre ci divertiamo di più nella rivolta, nella presa del potere. Poi ci annoiamo.

Ha appena girato uno spot per il candidato del PD Ivan Scalfarotto. Ma è vero che volevano anche lei candidato nel Partito Democratico?

No, era una cosa totalmente campata in aria, non me l’hanno proprio chiesta: o forse qualcuno scherzando. Non sarei capace e non sono sufficientemente affidabile: assomiglio molto all’italiano di cui abbiamo parlato, che si diverte a costruire e poi si annoierebbe nell’ordinaria amministrazione.

Gazzetta dello Sport

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