La mattina del 29 agosto di due anni fa l’uragano Katrina raggiunse New Orleans e la Louisiana, dopo essersi notevolmente indebolito rispetto alla potenza con cui aveva attraversato la Florida e il Golfo del Messico nei giorni precedenti. Nonostante ciò, il suo passaggio si risolse nella più devastante catastrofe naturale della storia degli Stati Uniti, e una delle più costose in termini di vite umane, con quasi duemila morti.
Di come un uragano ampiamente previsto e con notevoli precedenti abbia distrutto una grande e amata città della maggiore potenza tecnologica contemporanea, si discute da due anni. La protezione di New Orleans si rivelò un fallimento imbarazzante e inconcepibile. Le dighe e difese che non furono distrutte dall’uragano, furono travolte dagli allagamenti successivi, e dalla controinondazione che raggiunse la città dal lago Pontchartrain a nord. I superstiti vennero soccorsi con enorme lentezza e le scene di saccheggio e disperazione tra le rovine della città furono un’umiliazione ulteriore per tutta la nazione.
Malgrado tutto questo, pochissimi pagarono per quella impreparazione e l’amministrazione Bush ne uscì con la stessa ostinata sicurezza di non aver fatto alcun errore che ha mostrato in molte altre occasioni. Oggi gli esperti criticano i progetti di difesa da nuovi uragani, accusandoli di essere improntati alla stessa idea sconfitta da Katrina: quella che con la natura si possa ingaggiare una guerra a base di argini e cemento piuttosto che trattare per addomesticarla e consentire sbocchi alternativi alla sua furia. New Orleans ha perso un terzo dei suoi abitanti, che non sono più voluti tornare o non ne hanno la possibilità. La guerra tra la capacità tecnologica dell’uomo e la forza della natura, se il primo non ci mette anche un po’ di saggezza, la vince la seconda.
Gazzetta dello Sport