Nessuno sa niente

Tolto ancora il bisogno irrefrenabile che hanno gli “scrittori” di parlare di sé anche quando parlano di qualcun altro (“io e Baricco”: pensate se io i miei pareri su quel pezzo li avessi introdotti così, “io e Baricco ci arrotoliamo entrambi le maniche, ma in questo caso dissento da lui”) e cercare di infilare il proprio destino in qualsiasi materia, ci sono buone cose nel pezzo di Antonio Moresco a strascico del noto dibattito.

“E’ successo che il bersaglio non è rimasto fermo, si è mosso. Non ci sta più a essere liquidato con quattro battute. Anche se scrive: «Per quello che ne capisco, i miei libri saranno presto dimenticati, e andrà già bene se rimarrà qualche memoria di loro per i film che ci avranno girato su. Così va il mondo. E comunque, lo so, i grandi scrittori, oggi, sono altri». Parole scritte dallo scrittore che passa per il più narcisistico e supponente che ci sia in circolazione. Quanti altri scrittori, anche di minore successo commerciale di lui, avrebbero il coraggio di scrivere una cosa simile?

La storia di Baricco è singolare. Esaltato in un primo momento da influenti critici e operatori culturali, vincitore di premi prestigiosi come il Viareggio, era l’enfant prodige delle nostre lettere. Poi, a poco a poco, è diventato l’esempio negativo. Alcuni dei padrini di un tempo gli hanno voltato le spalle. Il successo di pubblico continua e Baricco può addirittura lasciare le major e mettersi editorialmente in proprio (che sia una delle ragioni di questo ostracismo ormai incontrollato?). Ma negli ambienti colti o presunti tali è diventato ormai lo scrittore impresentabile, la puttana che tutti possono permettersi di sbeffeggiare ricavandone status a poco prezzo. Che cosa è successo? I suoi primi libri erano tanto meravigliosi e i suoi ultimi fanno tanto schifo?

A me invece interessano proprio gli ultimi. Non che non ne veda bene anche la ruffianeria, la paccottiglia, il virtuosismo, i personaggi che si scambiano battute come in uno spot pubblicitario ecc. Però mi arrivano evidentemente anche altre cose che mi interessano e a volte addirittura mi commuovono. Ma è il trionfo del kitsch – sento ripetere da tutte le parti – il mid-cult, scrittura pubblicitaria, di secondo grado! E a dirlo sono, in molti casi, gli stessi che per anni hanno teorizzato la letteratura «di secondo grado» come unico orizzonte possibile in questa epoca. Che vanno in estasi per questo tipo di scrittori, siano essi di «genere» o di «genere letteratura», basta che siano controllati, disincantati, smaliziati, autoironici. Ma allora perché non sopportano Baricco?

Perché, a mio parere, assieme al debordante aspetto «pubblicitario», in Baricco c’è anche un debordante aspetto «infantile». In lui c’è sì molto calcolo, molta furbizia ecc. ma c’è anche un abnorme abbandono infantile, che mi sembra crescere sempre più col tempo. E’ questa sproporzione infantile, che per altri è solo narcisismo e patologia, la cosa che mi arriva e mi tocca. Perché lo so bene che pubblicità e dimensione infantile operano dentro la stessa fascia d’ozono, ma è anche vero che al suo interno si possono comunque giocare molte cose e che una sproporzione tra i due aspetti può aprire e scombinare persino quello che sembrerebbe un gioco prevedibile e chiuso.

Baricco è lo scrittore di un paese dove nessuno sa niente. Quelli che storcono la bocca perché credono invece di far parte di un paese dove si sa tutto, a forza di sapere tutto o di credere di sapere tutto sono diventati anche loro parte del paese dove nessuno sa niente, sono arrivati per un’altra via allo stesso punto. Baricco porta alla luce questa dimensione, di cui è parte. Crede che una «bella storia» possa riscattare la vita e sia il fine ultimo della letteratura. I suoi personaggi si incontrano in certi snodi, come nei romanzi di una volta nelle locande o al cambio dei cavalli, e lì si scambiano storie e proiezioni di vita. C’è in lui un sentimento perenne di meraviglia, come di uno capitato in un paese dove nessuno sa niente e che, in questa tabula rasa, deve fare partecipi gli altri delle storie che sa. In questo coglie un aspetto reale della situazione presente, di un paese e di un mondo dominato dalla dimensione pubblicitaria e televisiva azzerante. Certo, anche la meraviglia può fare tutt’uno con questa dimensione, ma ci si possono liberare dentro anche altre possibilità e altre forze. Scrive Kierkegaard nei suoi diari: «E’ un punto di partenza positivo per la filosofia, quando Aristotele dice che la filosofia comincia con la meraviglia, e non come ai nostri tempi con il dubbio». Lo so bene, non c’è solo questo modo di stare dentro al presente, alle sue rappresentazioni e alle sue macchine di addomesticamento. C’è anche quello di mettersi di traverso, di aprirlo, di sfondarlo, di fargli venire fuori le viscere, l’anima, di liberare al suo interno forze e disperazioni e prefigurazioni che non sapevano nemmeno di esistere fino a un secondo prima. Baricco invece vi aderisce in modo diretto, ed è per questo che appare così credibile ai suoi lettori, così vicino alla loro dimensione e alla loro vita. Per questo Baricco ha trovato tanti lettori, è proprio questo che è stato colto a livello emozionale dai tanti. E’ su questa fragilità infantile e su questo sogno «pubblicitario» della vita e anche della letteratura che si è creata identificazione. Perché anche i suoi libri sono fatti della stessa labile e ingannevole sostanza del mito diventato pubblicità.”

Repubblica

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