Avevo appena cercato di spiegare a cena a mia moglie, che mi chiedeva della storia del Wall Street Journal di stamattina su Facebook, che la questione saliente è quella della trasparenza e della chiarezza, e che c’è invece una certa sopravvalutazione di quello che facciamo ricadere sotto il termine privacy, e una buffa contraddizione tra la nostra crescente inclinazione a diffondere ogni tipo di informazione che ci riguarda e la paura che abbiamo della circolazione di informazioni che ci riguardano (che secondo me ha a che fare con la dilagante necessità di affermazione di sé attraverso qualunque affermazione di sé: compresa l’idea che sia prezioso ogni dettaglio della nostra persona e che fuori sia pieno di gente che non vede l’ora di impossessarsene). E dopo cena ho letto su Twitter questo:
Articles about online privacy should be required to include at least 1 anecdote where someone’s life was actually negatively affected.
(“Gli articoli sulla privacy online dovrebbero avere l’obbligo di citare almeno un aneddoto in cui la vita di qualcuno ne abbia risentito negativamente in modo concreto”)
E’ successo a me: apro una piccola ditta, viene il tecnico per agganciare la linea telefonica, installa il router, la centralina, saluta.
Gli chiedo: E il numero di telefono?
Lui: per la privacy, non glielo posso dire.
Credo che in Italia (non so all’estero) la privacy sia più o meno questo.
Paolo
@paolozardi: credo che tu non abbia colto il senso del quoting.
Si riferisce al fatto che qualcuno sia stato in qualche modo “vivisezionato” nella sua vita privata attraverso l’acquisizione di dati sensibili e questo gli abbia prodotto un qualche nocumento.
Non so tipo qualche potenziale datore di lavoro che fa uno screening su vari account, scopre che uno è gay, è musulmano, è ebreo, è tifoso della Juve, è nazista [ad libitum] e in seguito a questo abbia omesso di assumerlo.
Questo è quello che ho capito io.
In linea generale Chris Dixon non ha torto, ma in questa vicenda delle app di Facebook si parla di dati finiti in mano ad aziende che si occupano di marketing, profilazione e veicolazione del consumo. Su quest’ultima pratica non tutti i consumatori sono invulnerabili, ma non è facilissimo trovare un “aneddoto” che ne parli…
Che “fuori” (fuori dove?) ci sia “gente” (quale gente? l’uomo nero? Uomini neri travestiti da marketing/business analyst?) che non vede l’ora di impossessarsi delle tue informazioni non è un’idea, è una realtà.
E’ uno scherzo? Praticamente quotidianamente c’e’ un “fortunato” che ha la vita travolta in un infame momento di celebrita’ e sono sicuro esistono decine di persone che hanno ripercussioni nella vita reale. Tyler Clementi, giusto per ricordare che spesso prima che da multinazionali e markettari occorre difenderci da noi stessi.