Cose sul cambiare il mondo e perché

Metto insieme un po’ di cose interessanti che sono uscite negli ultimi giorni intorno al tema del cambiare-il-mondo e degli strumenti e stimoli a farlo, e del fallimento della politica su questo fronte. Per chi voglia una trattazione più estesa e chiara, le cose che ne avevo scritto in Un grande paese:

1. Sul fatto che una volta per migliorare le cose ci si buttasse in politica (o nel giornalismo), e oggi no
2.  Sul cercare di diventare altro – meglio – da quello che si è
3. Sul male interpretato egualitarismo che frustra le ambizioni di chi vuole diventare – in politica – migliore
4. Sugli stimoli a fare il bene degli altri, a partire dal proprio e non più per un innata generosità (vedi anche Margaret Thatcher)

Oggi in prima pagina sul Corriere della Sera c’è un ottimo e controcorrente commento di Giuseppe De Rita che riassume i primi tre di questi punti.

Sul New Yorker di questa settimana c’è una lunga storia sul rapporto dei grandi imprenditori della Silicon Valley con la politica e sul pensiero che non sia nella politica che si trovano gli spazi per fare delle cose buone.

Codice ha appena pubblicato un libro intitolato “Il tempo dell’altruismo” in cui Philippe Kourilsky distingue tra generosità e altruismo, e parla delle ragioni per il secondo, che “nasce da un’analisi razionale della realtà e delle nostre relazioni con gli altri” (ne ha scritto Repubblica).

Nei commenti a questo post del mese scorso, un lettore del presente blog segnala la “teoria della mano invisibile” e un po’ di cose collegate al punto 4 di cui sopra.

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Un commento su “Cose sul cambiare il mondo e perché

  1. Michele Mauri

    Se negli Usa non è in politica che si trovano gli spazi per fare delle cose buone, figuriamoci in Italia! Eppure è proprio da noi che la “fabbrica del consenso”, per dirla con parole di Chomsky, ripara tutto e tutto fa dimenticare. Solo pochi mesi fa sembrava che gli italiani ne avessero davvero piene le scatole e invece la politica per partenogenesi si è riprodotta ancora una volta. Non è stato necessario fecondarla con la passione, è bastato il diluvio di dibattiti e ospitate per imprigionare le nostre menti e condurle all’ovile delle urne. La politica ha generato l’antipolitica pur di perpetuarsi. E non è la prima volta. Il resto l’hanno fatto il ricorso alla vittima sacrificale, un metodo di risolvere i problemi molto italiano, già usato mille altre volte, e la nostra scarsa memoria. C’è un’infezione sociale che forse ha contagiato tutti, noi compresi. E da questa infezione i media ricavano materia prima per generare ascolti e lettori, dando vita a un circolo infernale. La politica finanzia l’informazione perché parli della politica. Nel bene o nel male, purché ne parli. http://alternativanomade.wordpress.com/

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