A nome dei magistrati

Le parole un po’ dissennate circolate nella concitazione delle ore dopo gli omicidi al tribunale di Milano sembravano un po’ rientrate, moderate e corrette, il giorno dopo. Ma evidentemente la restituzione di quella storia al suo spazio drammatico non bastava ai circolatori di allarme e zizzania, ed era necessario darle un seguito altrimenti a rischio di esaurimento. E così oggi ancora sui giornali circolano cose molto sgradevoli in termini di strumentalizzazioni di morti e sofferenze.
Per fortuna, è proprio il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati – in un’intervista a Repubblica – a cercare di far emergere tra il frastuono dei titoloni e il desiderio di aggressioni, le parole più esatte e sensate. E le dice il capo dei magistrati: forse sarebbe il caso di prenderle per definitive.

Un cittadino decide di farsi giustizia da solo e voi gridate all’isolamento…
«Un fatto tragico e orribile, mi rifiuto di associarlo ad altre polemiche».

Sono ore nere per voi. Ma non state esagerando?
«I magistrati sono obiettivamente esposti, al di là dei problemi di sicurezza. Le toghe sono in prima linea. A Milano però sono morti un magistrato, un avvocato e un cittadino. È una tragedia che accomuna persone diverse in un unico dramma, persone che erano lì per la giustizia, in un palazzo che è il luogo dove i contrasti dovrebbero trovare una soluzione, quindi il rifiuto e l’antitesi della violenza».

Quanto ha inciso su Giardiello la propaganda anti giudici?
«Vorrei sottrarmi al rischio di polemiche sul rapporto tra la delegittimazione e questo fatto. Per la semplice ragione che qui ci sono tre persone uccise che ricoprivano ruoli diversi. Vedo il simbolo di un’aggressione complessiva alla giustizia. Il tema del rispetto e del discredito della magistratura è un tema, ma non va svilito con una lettura semplicistica».

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