Muori

Lunedì sera, mentre Matteo Renzi affrontava nella Direzione Nazionale del PD il tema del giustizialismo di sinistra, e citava le tristi parole di Stefano Rodotà sul “garantismo peloso e ipocrita” – parole sulla stessa china di chi inventò il buonismo per deprezzare la bontà -, mi chiedevo quand’è che alcuni soi-disant “di sinistra” hanno cominciato a volere più gente in galera invece che meno, e hanno cominciato così a somigliare alla destra.

L’inclinazione a desiderare il male altrui è diventata molto più estesa negli ultimi decenni: un po’ ha a che fare con le maggiori frustrazioni individuali che viviamo tutti, e in assenza di soddisfazioni positive per noi ci rifugiamo in desideri negativi per gli altri. Poi c’è stato un generale sdoganamento dei cattivi sentimenti, e un’indulgenza demagogica per il loro desiderio di sfogo: essere vicini alla gente è stato risolto da molta politica e informazione con l’essere vicini al peggio della gente, e raccontarci che avevamo ragione qualunque irritazione coltivassimo. Indignatevi. Incazzatevi. Invelenitevi. Sfogatevi. Protestate. Avete ragione.

Meno soluzioni, più punizioni.

Una delle più vistose conseguenze di tutto questo è stata la diffusione dell’idea che qualunque cosa meriti la galera, che la galera risolva tutto, che la galera non sia mai abbastanza. Un attimo prima stavamo cercando di costruire un fragile senso di rieducazione della pena – per il bene di tutti – e un attimo dopo la rieducazione era diventata un assurdo privilegio, e ne era rimasta importante solo la punizione, sempre troppo morbida. Cinque anni di galera troppo pochi, dieci anni di galera troppo pochi, vent’anni di galera troppo pochi, persino trenta: troppo pochi. Chiunque non vada in galera – anche in assenza di qualunque ragione pratica, costituzionale, di bene comune, per andarci – è una vergogna. Chiunque non paghi per il resto dei suoi giorni è una vergogna.
Leggiamo continuamente “È già libero…”. Non leggiamo mai “È ancora in carcere…”.

Eppure, anche qualcuno che esca di galera, abbia scontato la sua pena, possa tornare a una vita di qualche tipo, è un parziale ritorno alla norma – per quanto possibile rispetto al danno provocato – e alla fine della sua pericolosità, che andrebbe accolto con soddisfazione. È meglio per tutti, quando qualcuno non pericoloso – non più di me o voi – esce di galera. E meglio ancora quando il suo rientro nella comunità funziona, senza strascichi drammatici peggiori per lui o per gli altri: e questo invece avviene di frequente, che ci siano strascichi drammatici, proprio perché il carcere com’è rende le persone peggiori e più pericolose, e perché in più la nostra pretesa che la pena debba essere eterna, la sofferenza continua e palese, sono le condizioni ideali per generare nuove violenze e sofferenze.

Sono riflessioni che si fanno da secoli, e che negli ultimi tempi sono state appunto travolte da enormi regressioni. Mi tornano in mente oggi – benché ci siano occasioni continue – per via di una storia sui giornali da ieri, esemplare. Un uomo che ha fatto cose violente e orribili negli anni Ottanta è stato arrestato e condannato e ha scontato la sua pena, passando in carcere almeno dieci anni. Ha scontato la pena a cui legge e processi lo hanno condannato. Dal 2010 è stato – sempre secondo legge e sentenze – scarcerato. Reinserito, si dovrebbe dire.
In questi anni si è costruito un lavoro: tutto regolare. Il suo lavoro lo mette in affari anche con delle amministrazioni pubbliche: si occupa di forniture di acqua potabile.

Adesso i giornali hanno scoperto cosa fa, ed è diventato uno scandalo (non parliamo qui dell’etica giornalistica italiana, che intervista le persone mentendo – altro che “on the record” – e non verifica le informazioni errate che riceve).
Ha un lavoro, ed è uno scandalo.
Alcuni gli attribuiscono nei titoli dichiarazioni spavalde e provocatorie inesistenti, costruite apposta per provocare le indignazioni e lo scandalo di noi lettori: “Mi arricchisco grazie allo Stato”. Altri usano strumentalmente un insignificante artefatto bollino di patrocinio ministeriale come pietra dello scandalo, leccandosi i baffi. Lui – i cui precedenti non gli meritano nessuna simpatia, ma valgono l’emarginazione eterna? – sostiene che questa gogna pubblica gli farà perdere il lavoro e metterà nei guai la sua famiglia: chi avrà il coraggio di far lavorare un ex assassino che genera scandalo giornalistico e aizzamento di cittadini indignati dovunque si mostri?

La brutta storia di Felice Maniero era stata messa su dei binari civili e di sicurezza per tutti: le cose stavano insomma andando come devono andare quando si cerca di correggere parzialmente tragedie e crimini (a meno che non riteniamo che la soluzione preferibile sia sapere lui e la sua famiglia elemosinanti su un marciapiede: e così chiunque abbia scontato una pena). Ma quello che preferiamo, probabilmente, è leggere storie diverse: sapere che cinque anni dopo, non trovando nessun reinserimento, ha provato un’altra rapina, è stato ucciso, o riarrestato, come merita. Preferiamo che il male resti male, per rassicurarci.
Indignatevi.

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14 commenti su “Muori

  1. lorenzo.effe

    Sarebbe interessante capire quando davvero sono cambiate le cose: il giustizialismo ha sempre prosperato, e le frustrazioni individuali erano ampie e abbondanti anche in passato. A occhio, la differenza l’hanno fatta le élites poliche e culturali, mettendosi a rincorrere e a scommettere sulla pancia della gente (ma era uno sviluppo inevitabile? ed è reversibile? una gran fatica.)

  2. nonunacosaseria

    quindi, stando al ragionamento, chi nota la presenza di oreste scalzone all’incontro di landini per impostarci articoli di denuncia o discorsi di partito fa un’operazione poco civile e poco o niente garantista? chiedo, eh…

  3. Massimo

    @nonunacosaseria Buffo parallelo, direi. Scalzone ad una manifestazione politica è come Meniero testimonial ad una fiera di pistole. Ma quest’ultimo si guarderebbe bene dal farlo.

  4. Linux

    Ma chiedere le dimissioni di indagati e condannati mica vuol dire “volere più gente in galera invece che meno”,
    tutto il post trae origine da questa fallacia logica.

    Poi
    “Una delle più vistose conseguenze di tutto questo è stata la diffusione dell’idea che qualunque cosa meriti la galera, che la galera risolva tutto, che la galera non sia mai abbastanza.”

    Ma quanto è maggioritaria questa idea (ammesso che possa essere presa sul serio come è stata formulata, “qualunque cosa”? pure uno starnuto secondo questa idea merita la galera?)
    E da dove si ricava che l”indignatevi” ha causato la diffusione di questa “idea” (non riesco a prenderla sul serio)?
    Mi fermo qua, quando c’è da attaccare la “vecchia” sinistra coi sui professoroni, e quelli del Fatto, si perde di lucidità.

  5. marquinho2

    Concordo con Linux ci sono salti logici non del tutto coerenti.
    Per quanto riguarda Maniero, si tratta di cattivo giornalismo ma dopo Mafia Capitale quando si vedono ex boss in contatto con le amministrazioni pubbliche non è il reinserimento sociale la prima cosa che viene in mente.
    Sarà così per un po’, non è bello, non è giusto, ma temo che sia inevitabile.

  6. metiu

    “Ma chiedere le dimissioni di indagati e condannati mica vuol dire “volere più gente in galera invece che meno”,
    tutto il post trae origine da questa fallacia logica.”

    Eh si.. E pensare che settimana scorsa, a difesa del risultato elettorale di Renzi, ci esortava a non confondere mele con pere..
    Evidentemente e’ un principio che Sofri applica in liberta’. A seconda delle esigenze comunicative.

  7. speakermuto

    L’articolo di Report ha messo insieme dei fatti ed è interpretabile in vari modi, per esempio: per avviare un’attività in Italia la burocrazia costringe a ottenere permessi da comune, ministeri, vigili del fuoco ecc. ma questa azienda che vende acqua *potabile* ostenta un patrocinio che in realtà non ha: com’è possibile? E viene maliziosamente esposto un famigerato nome.

    Questo post, invece, parte da un generico attacco al giustizialismo per arrivare ad affermare che un’azienda che vende acqua *potabile* può continuare a farlo anche esponendo un banale bollino riferito a un patrocinio che non ha ricevuto, e l’azienda può farlo perché Maniero ha pagato il suo debito verso la Società per tutt’altri motivi.

    Sbaglio?

    Sbagli. L.

  8. layos

    L’Italia è uno dei paesi più corrotti del Mondo, probabilmente il più corrotto di occidente, eppure la quantità di “colletti bianchi” che sta nelle patrie galere è la più bassa di tutti. Il “garantismo peloso” è proprio quello che si brandisce come arma da parte dei potenti incravattati per proteggere il proprio culo (scusa se anche io uso il francese) e quello dei propri sodali.

    Invece sono d’accordo con te per quanto riguarda gli straccioni che rubano o spacciano o anche per i grandi malavitosi, dopo tanti anni di suplizio in carcere. Stateci voi 20 anni in una stanza di 3 metri per 3 con altri 5 o 6 “galantuomini” per vedere se la punizione è sufficiente per qualunque male abbiate compiuto. Per altro se le cose funzionassero come si deve, ed effettivamente chi ha delitto intraprendesse un percorso di reinserimento, lavorando e riabbracciando i valori della convivenza civile, non si vede perché non gli si debba dare una nuova opportunità. Se un criminale è redento e torna a contribuire alla cosa comune, è giusto che lo faccia.

    Ma che il “garantismo peloso” esista è un dato di fatto, basti pensare alla insopportabile tiritera sul terzo grado di giudizio. Pensa a Cuffaro: fece saltare un’importantissima operazione di mafia con una soffiata ad un potentissimo boss. Poteva averlo fatto perché colluso o perché minchione, in ogni caso non si doveva puntare il dito indice “fino al terzo grado di giudizio” nella cui attesa questa persona ha proseguito imperterrita ad inquinare le istituzioni. E ora che sono passati i tre gradi di giudizio e quest’uomo è nelle patrie galere, adesso che “sappiamo”, possiamo insolentirlo, o sarebbe meglio rispettare la sua detenzione, ora che non è più un potente mammasantissima del centrodestra siciliano?

  9. gianmario nava

    eh, no! ha ragione il direttore!
    chiedere le dimissione di indagati non è la stessa cosa di chisere le dimissioni di condannati (che peraltro con la severino…)
    pere e mele, appunto
    l’inizio dell’azione penale non è l’evidenza di un reato
    se osservate la legislazione penale, si sono moltiplicati i reati penali e aumentate le pene
    e ogni ipotesi di depenalizzzione viene letta (gridata) come manovra pro delinquenza
    l’idea di ampliare l’applicazione e lo spettro delle pene alternative viene ridicolizzata e osteggiata senza alcuna analisi empirica della loro efficacia e del loro costo
    questo dice l’articolo e le premesse sono tuttaltro che fallaci

    e poi ci sono i bambini
    i bambini in carcere
    e i bambini con i genitori in carcere
    dite quello che volete, è solo responsabilità del o della delinquente
    ma un bambino senza speranza è una moralmente una sconfitta e socialmente un pericolo
    o li eliminiamo o ce ne facciamo carico
    fate voi

  10. nonunacosaseria

    @ massimo

    Sì, capisco che il mio possa sembrare un “buffo parallelo”. E forse lo è. Però, se seguo il tuo ragionamento, allora è giusto che ci sia uno stigma sociale che impedisce a un condannato che ha scontato la sua pena di partecipare o fare cose lecite e legittime in virtù della sua colpa precedente, ancorché espiata.
    Mi verrebbero in mente altri paralleli, non buffi, ma provocatori, ma non vorrei essere frainteso o andar lontano e quindi la chiudo qui.

  11. andreacapocci

    Fortunatamente c’è lo streaming, quindi ci si può documentare facilmente. Rodotà ha fatto un discorso molto simile, in fondo, a quello che fece Luca Sofri su De Luca: nessuno è indispensabile. Quindi per gli incarichi pubblici dobbiamo pretendere persone degne e prestigiose e ammirevoli, e non accontentarsi del primo che passa a piede libero per malinteso ”garantismo”. Le leggi ci dicono ciò che non possiamo fare, l’articolo 54 della Costituzione ciò che possiamo e dovremmo fare, e a questo ha fatto riferimento Rodotà.
    Quello che invece ha chiesto galera per chi non è colpevole non dico per la Cassazione, ma nemmeno per gli inquirenti stessi, è Renzi, a proposito di un ragazzo (“di etnia rom”) che non guidava un’automobile che ha ucciso e ferito persone qualche giorno fa. Non è l’unico, la destra ci ha costruito una campagna nonostante diversi media volenterosi abbiano tentato di spiegare i motivi di una scarcerazione apparsa oltraggiosa a chi ha fretta. Mi sembra che la sua platea non abbia battuto ciglio, di fronte ad un’affermazione che accreditava una giustizia più spiccia. Lo dice dopo un’ora e sei minuti di registrazione e chiunque può controllare su youdem. Secondo me chi sta accarezzando la pancetta giustizialista non è Rodotà.

  12. metiu

    @ Gianmario Nava

    “Renzi non deve guardare agli avvisi di garanzia, ma all’articolo 54 della Costituzione dove è scritto che coloro ai quali sono affidate funzioni pubbliche devono adempierle con disciplina e onore – ha sottolineato – Questo è il tema che abbiamo di fronte, il tema della ricostruzione dell’etica civile, dell’etica pubblica compito al quale questo governo si sta sottraendo in modo più sfrontato del passato e lo sostiene con una sicumera che mi inquieta”. Coesione sociale, ha sostenuto il giurista, “tra i suoi compiti dovrà avere anche questo della ricostruzione dell’etica civile”.

    Io sono daccordo con Rodota’. Ricostruire una etica civile NON vuol dire “volere piu’ gente in galera” come fa intendere Sofri rispetto a quelli che lui definisce (in tono chiaramente dispregiativo) soi-disant “di sinistra”. Non confondiamo mele con pere.

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