Campagna per l’interclassismo ferroviario

Io viaggio in treno spesso, come tantissimi italiani: sui regionali e, più di frequente, sui treni dell’alta velocità. Ora, la cosa che voglio qui sostenere è che l’aumento delle classi tariffarie sui treni dell’alta velocità ha una parte di responsabilità nella sempre maggiore separazione tra classi culturali e sociali e contribuisce a una più limitata comprensione del paese. Ho sempre viaggiato “in seconda”, con rare eccezioni. Poi sono invecchiato, mi sono capitate cose, e intanto le compagnie ferroviarie hanno portato a quattro le classi, con quei nomi là che non mi ricordo mai quale è quale, perché sono tutti scelti per farti pensare che ognuno è il migliore. Così oggi viaggio spesso in terza per terzismo (nel dubbio, stare in mezzo), ma a volte trovo un’offerta e vado in seconda, e altre volte qualcuno che mi ha invitato da qualche parte mi prenota un posto in quarta o, raramente assai, in prima (la prima è uno status: economicamente non vale assolutamente la pena, ma ti fa sentire molto privilegiato). Quindi le vedo tutte.

E – sembra una considerazione ovvia, anzi lo è – le persone che si incontrano nelle varie classi sono molto diverse tra loro. Nelle classi “inferiori” si parla molto di più ad alta voce, tra passeggeri o tra passeggeri e telefoni, e si dicono cose spesso più semplici, o ingenue. La settimana scorsa ho osservato rapito un gruppo di signore che commentavano con eccitazione le velocità che raggiungeva il treno, e si facevano molti selfie dicendosi a vicenda “che belle che siete!”. Altre volte sono stato vicino a passeggeri il cui smartphone faceva “pìn!” ogni dieci secondi coi messaggi di Whatsapp, o che guardavano dei video sui telefonini col volume altissimo, urlando ai loro parenti a casa come era andata la loro giornata.
In quella che ora è una seconda (in prima, dicevo, sono stato tre volte e non ho avuto il coraggio di intervistare i riservati altri cinque occupanti del vagone presi con certi documenti nei loro computer) si possono incontrare persone altrettanto rumorose, ma è un altro mondo di rumorosità: parlano al telefono soprattutto di lavoro, sono spesso in giacca e cravatta, sono palesemente altri ceti sociali, e alcuni ti sgridano severi se telefoni anche a bassa voce, sentendosi investiti di un rispetto delle regole.
(ma non trasformiamo vi prego queste considerazioni in banali lagne sui cafoni ferroviari di ogni classe)

Voi direte: bella forza, i ceti sociali e culturali sono definiti dalle disponibilità economiche. Certo, ma quello che io voglio dire è che in tempi in cui le “filter bubbles” tendono già a farci stare sempre di più con i nostri simili e ignorare persino l’esistenza di altre vite e altri modi, l’aumento a quattro delle profilazioni ferroviarie contribuisce a sua volta a questi isolamenti. Tutti i genitori sani proclamano quanto sia prezioso mandare i loro bambini a scuola con altri bambini di culture, provenienze, classi, educazioni diverse, ma intanto da adulti ci adeguiamo a sistemi che invece ci fanno stare limitati e ignari nelle nostre bolle. Perché ce ne sentiamo rassicurati, e ha senso, niente di male: solo che così ci mancano dei pezzi di mondo, e ne capiamo meno, del mondo. Sia a stare sempre in prima o seconda che a stare sempre in terza o quarta.
Poi capisco le ragioni commerciali delle compagnie ferroviarie: ma per ragioni sociali, io proporrei un treno ogni dieci a sorpresa con una classe sola, qualunque biglietto tu abbia comprato.

p.s. coincidenze: mentre scrivevo questo post l’Atlantic pubblicava questo articolo in cui suggerisce a Facebook una scelta simile di rimescolamento delle persone di idee politiche diverse.

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