Cosa si fa quando è successa una cosa così? Cosa si fa nell’attesa di una guerra così? Che accidenti di vita si continua, che pensieri vengono, che sogni si fanno, che contromisure si prendono? Tra l’incudine dell’undicisettembre e il martello di minacciate armi biologiche e nuovi attentati, molti americani stanno perdendo la calma, e li si può capire, e i giornalisti sono la loro voce. Il nocciolo della questione è spiegato da Chris Colin su Salon: “Piuttosto che spiegarci perché non dovremmo farci prendere dal panico, ci dicono che farsi prendere dal panico non serve”. Dati e informazioni sembrano andare tutti nella direzione che il panico sia fondato, e la questione sia solo come reagire: dare di matto, accatastare vaccini e provviste, fare come se niente fosse. A far traboccare la pazienza di Colin e di Sally Quinn del Washington Post sono state le parole rassicuranti di circostanza del ministro della salute Tommy Thompson in televisione: “L’America è preparata”. Preparata un par di balle, gli hanno risposto molti esperti di terrorismo e contagi. Sally Quinn ha fatto i conti: “ci sono 15 milioni di dosi di vaccino contro lo Smallpox, e 280 milioni di abitanti. Ci sono solo diecimila maschere antigas pronte per essere distribuite”. E racconta di essersi data da fare da sola, che a Washington sono finite e lei ha trovato delle maschere in un negozio di Salt Lake City, ma nessuno spiega perché certe costano 50 dollari e certe 500. La sua dovrebbe funzionare per 12 ore, le hanno detto. Intanto l’altroieri la stampa ha interpellato diversi esperti che hanno messo in guardia dall’uso delle maschere senza un’adeguata preparazione: “Devono essere indossate bene, altrimenti si rischia di soffocare, come accadde ad alcuni israeliani che le misero durante la guerra del Golfo senza togliere i sigilli di sicurezza. E poi hanno una durata, hanno bisogno di manutenzione, non si possono comprare come si compra un cappello”. Sally Quinn ha anche messo da parte bottiglie d’acqua, torce, pile, cibi in scatola e benzina per la macchina. Ha comprato antibiotici, il Cipro e il Doxyciclyne stanno diventando introvabili, dice.
In testa alla classifica dei libri di Amazon è rimasto per diversi giorni il volume “Germs”, sugli attacchi batteriologici. Adesso è esaurito, ma gli ordini lo tengono al dodicesimo posto. Quattro americani su cinque hanno dichiarato a un sondaggio CNN di ritenere un nuovo attacco “probabile” o “molto probabile”. E figure istituzionali o esperti di terrorismo rilasciano dichiarazioni simili a quella del deputato Shays, capo della commissione del Congresso sulla sicurezza nazionale: “Sono del tutto sicuro che ci sarà un attacco biologico, chimico o nucleare. La questione è solo quando, dove e di quale dimensione”.
Intorno al Campidoglio si cominciano a vedere agenti di polizia con le maschere appese alla cintura. Le misure di sicurezza si sono intensificate e la tensione è cresciuta. “È una specie di innocenza perduta”, ha commentato un senatore repubblicano. Molti impiegati parlamentari drizzano le orecchie a ogni aereo che passa, e se il portavoce di un deputato ha detto di aver imparato esattamente dove sono le uscite di sicurezza, dopo tanti anni, un altro ha spiegato che “non ho paura, grazie alla fede. Dovunque mi trovi, so di essere nelle sue mani”.
Certo, ci sono gli scettici, più numerosi a mano a mano che ci si allontana da downtown Manhattan, motivati soprattutto dalla difficoltà di concepire uno scenario di folle di cittadini che vagano intossicati per le città, di ospedali gremiti di malati sofferenti terribilmente: è inimmaginabile, si dicono. Ma era immaginabile quella successione di sequenze, l’undicisettembre?, risponde chi si sta attrezzando, chi si sta facendo prendere dal panico, per quanto inutile lo si dichiari. E nella contesa, molti annunciano una vittima sociale, l’ironia. Il New York Times ha fatto un’inchiesta e ha trovato molti direttori e giornalisti d’accordo sul fatto che la tragedia ha fatto perdere a tuttti la voglia di distacco e scherno tipici dei tempi recenti (“Non si deve ridere, di questi tempi”, ha scritto ieri l’elefantino). Il cinismo avrebbe ceduto il passo al civismo, “è la fine dell’età dell’ironia” ha detto Graydon Carter, direttore di Vanity Fair. Lo stile solitamente sarcastico e acuminato dei giornalisti del New York Observer si è fatto da parte per un’edizione straordinaria “del tutto nuova e solenne” secondo il Times. Ma tra chi dismette come del tutto transitorie queste considerazioni c’è persino il giovane Jedediah Purdy, autore due anni fa di un libro-polemica contro l’ironia: “con le tensioni di questi giorni, un po’ di distacco può solo essere utile”. E contro Carter è andato anche Michael Kinsley, direttore di Slate: “A volte non mi è facile individuare l’ironia negli articoli di Vanity Fair sui traumi psicologici dei divi del cinema”.
Ma l’impatto di quella terribile giornata graverà ancora a lungo sulle persone che vi hanno assistito. Il trauma sta costringendo a superlavoro psicologi e analisti, soprattutto a New York. Tra le conseguenze, prime sono la difficoltà a dormire, e gli incubi. E un diffuso senso di stanchezza: “L’adrenalina di quei primi giorni, i nervi pronti a scattare, la tensione della risposta comune, si stanno affievolendo e l’organismo ne paga il prezzo: i corpi sono stati affaticati” ha detto il dottor John Draper a Salon. Il giornalista Christopher Ketcham l’aveva cercato perché ha incubi frequenti. Un suo amico gli ha raccontato di aver passato un’ora a guardare “Gli antenati” in tv: “Sapevo che Barney e Fred non mi dicevano bugie”. Poi ci sono le reazioni: si è già scritto che la gente mangia di più e fa più sesso. Ma ci sono anche molti altri comportamenti da fine vicina: gli analisti riferiscono di un aumento dei progetti di matrimonio, di abbandoni delle diete, di vendite di beni. E mentre in Inghilterra Sean O’Grady, sulll’Indipendent, trova tutto questo un tantino esagerato e consiglia di darsi allo shopping e agli investimenti per esorcizzzare e combattere il terrorismo, Mike Archer ha diffuso la sua proposta sull’Orlando Sentinel: piantare un giardino pubblico. “Un modo in cui tutti possono costruire un equilibrio tra la sete di giustizia e il desiderio di vendetta”.
L’ironia è superata, parrebbe. Ma è ancora Chris Colin a saperla usare nel mostrare tra tutte la reazione più umana e più faticosa, la ricerca di una ragione: “Ci guardiamo intorno alla ricerca di un senso, di cosa è andato storto, di quali siano i nostri peccati. È per via di MacDonald? Tutti quei film orribili? È perché a volte perdiamo il significato delle cose? Abbiamo permesso a troppe donne di andare al college?”.
Incubi, dubbi, e maschere antigas
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