Caro direttore, io penso questo: che l’argomento a cui il Foglio ha diffusamente obiettatonell’articolo in prima pagina di sabato sia un falso argomento. Non è vero, cioè, che per alcuni “le istanze nazionali represse giustifichino il terrorismo come variante delle guerre di liberazione”. O meglio, può essere vero per alcuni squinternati non all’altezza di polemica. La tesi più condivisbile – che io condivido, per esempio e a cui ti chiederei di obiettare, prevede la sostituzione di una sola parola: “le istanze nazionali represse causano il terrorismo come variante delle guerre di liberazione”.
L’orrenda e cinica alzata di spalle che circolò dopo l’undici settembre “se la sono cercata” pretendeva di paragonare tremila uccisi innocenti con le discutibili politiche internazionali di una democrazia. Si disse giustamente che era un’infamia. Oggi, dopo Mosca, quella frase continua a non dover avere cittadinanza tra le persone per bene: ma è più difficile spiegarlo, quando la distanza in termini di cause e effetti tra anni (secoli) di repressioni, torture, violazioni di diritti umani, massacri, migliaia di omicidi compiuti da una giovane democrazia ancora incompleta una dittatura con metodi conseguenti fino all’altroieri – e l’agguato terroristico moscovita è assai più piccola.
Sabato sul Corriere della Sera Paolo Mieli ha distinto tra quelli come Glucksmann e Capezzone che attribuiscono per intero la responsabilità del terrorismo ceceno alla Russia, e se stesso, che non se la sente di “attribuirla per intero ai russi”. Mieli non vede un rapporto tra causa e effetto per cui cessata l’oppressione russa verrebbe meno il terrorismo ceceno. Ha ragione lui, naturalmente, ma il suo argomento non si conclude. Fino a che le responsabilità verranno definite sempre “per intero”, con l’accetta, nessuno avrà ragione. I terroristi e gli assassini sono definitivamente responsabili dei loro delitti, senza alibi. Ma questo non significa che non ci siano anche altre gravi e incoscienti colpe di altri, come nel caso della Russia e di Putin, che sono uno stato e il suo presidente impunibile, non dei terroristi che hanno rapidamente pagato il conto. E il rapporto di causa ed effetto è vero non permette di dire che dove smette l’invasione criminale russa cessa il terrorismo ceceno. Ma offre la certezza che dove la prima prosegue, cresce e si aggrava il secondo.
“Di questo genocidio non è più Putin il primo responsabile”, ha scritto invece domenica Barbara Spinelli, volendo con ciò indicare che il governo russo è il secondo responsabile. Che, come prosegue la Spinelli, sia stata la ferocia russa a creare il terrorismo ceceno, e non il contrario, non è importante. Quel che conta è che le due cose siano ora l’una l’effetto dell’altra. Non siamo qui a dire chi ha cominciato. Siamo qui a dire chi è il più forte e chi è quello che si chiama “stato democratico” e abbraccia i nostri rappresentanti. È lui quello che deve smettere, e comportarsi da stato democratico.
Lo devo ripetere: i verbi “giustificare” e “causare” hanno due significati diversi. Ma diversi diversi. Non è questione di distinguo, a meno di chiamare distinguo anche la differenza tra ragionare e sparare. Ma la conseguenza di questo rapporto di cause ed effetti è ancora più rilevante della sua semplice individuazione: capire che esiste significa capire che una diversa politica russa nei confronti dell’aggrovigliata questione cecena avrebbe potuto forse evitare che a trenta criminali venisse in mente l’attacco di Mosca e che ne venissero ammazzate più di cento persone. Significa capire che una diversa scelta di Arafat a Camp David avrebbe potuto forse risparmiare le morti e le sofferenze di questi anni ai palestinesi. Significa capire che un atteggiamento diverso da quello di Sharon nei confronti della trattativa avrebbe potuto forse risparmiare a Israele i massacri dell’ultimo anno e quelli che verranno. Significa – quando il gioco si fa duro e i duri cominciano a giocare tra gli applausi di quelli che hanno perso le staffe – capire che il gioco duro paga solo quando non ha alternative, e che i primi a pagarne le conseguenze sono gli avversari, ma i secondi sono i parenti dei giocoduristi a cui qualcuno deve rispondere con qualcosa di più di un “vi chiedo perdono” e poi andare. Quelli che una sera d’autunno vanno a teatro, fiduciosi che il loro primo ministro sappia come gestire la questione cecena. Quelli che vorrebbero uno stato palestinese e vivere in pace, e si affidano senza scelta ad Arafat. Quelli che vorrebbero darglielo, uno stato, e vivere in pace dall’altra parte. E quelli che guardano le finali del baseball pensando che il loro presidente saprà come trattare il dittatore Saddam e proteggerli dalle sue reazioni. Che il cielo dia loro leader capaci, e gliela mandi buona.
Le cause e le giustificazioni
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