Cara signora Colquitt

L’iniziativa del Guardian sulle elezioni americane (Operation Clark County), ha avuto esiti che vanno oltre le previsioni dei promotori, nel bene e nel male. Io avevo ricevuto il nome della mia interlocutrice e le ho spedito questa lettera:

“Cara signora Colquitt, lei non mi conosce e nemmeno io conosco lei. Quindi mi presento. Mi chiamo Luca Sofri e faccio il giornalista in Italia. Qualche giorno fa ho letto un articolo su un giornale inglese, il Guardian. Raccontava che nelle settimane passate c’era stato un grosso dibattito sulla stampa internazionale a proposito del peso che la politica americana ha su tutto il mondo e di come il mondo può essere coinvolto nella politica americana. Qualcuno, un po’ per scherzo e un po’ no, aveva proposto che tutti nel mondo, non solo gli americani, potessero votare per il presidente degli Stati Uniti, dal momento che le vite di tutti sulla terra sono influenzate anche dal modo in cui l’America sceglie la sua politica. Il Guardian ha pensato di portare lo scherzo oltre, e renderlo anche un po’ serio. Certo, sarebbe assurdo che i non americani pretendessero di avere gli stessi diritti dei cittadini americani nelle elezioni di quel paese, era scritto, ma sarebbe bello che potessimo almeno comunicare agli americani i nostri desideri e i nostri pensieri. Così, il Guardian offriva ai suoi lettori l’opportunità di ricevere il nome e l’indirizzo di un abitante della contea di Clark, in Ohio, per scrivergli una lettera. La scelta era caduta sulla contea di Clark, si spiegava, perché è una delle contee in cui il risultato elettorale è più incerto all’interno dell’Ohio, che è uno degli stati in cui il risultato è più incerto. Io sono stato al gioco e ho ricevuto il suo nome. Mi piaceva anche l’idea di scrivere a qualcuno scelto a caso.

Bene, in realtà non ho molto da dirle. È il suo voto ed è il suo paese. Mentirei dicendole che non mi importa, perché – non glielo nascondo – non mi piace nessuno dei due candidati, ma sono del tutto convinto che il mondo darebbe un posto migliore per la maggior parte di noi se George Bush non fosse Presidente degli Stati Uniti. Niente di personale, né ho una posizione radicale contro l’invasione dell’Iraq, che è una questione troppo complicata per dire semplicemente giusto o sbagliato: è solo che ho seguito molto attentamente il lavoro della presente aministrazione e sono del tutto convinto che non sia stato un buon lavoro. Un pessimo lavoro, direi.

Ma glielo ripeto per prudenza: penso davvero che sia il suo paese e non il mio – il mio è un altro, se ne ho uno – e che lei sappia meglio di me come ci si vive. Nemmeno Kerry è così convincente, ma è il caso di metterlo alla prova. Volevo solo dirle buona fortuna: lei va a votare, e cambia qualcosa in tutto il mondo. Ci vuole del fegato.

Saluti, Luca Sofri.”

Guardian

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