Poveri bambini

Sabato scorso, come immagino molti di voi, mi imbatto in queste gran paginate che parlano di una ricerca Eurispes sull’infanzia in Italia. I temi trattati sono molti, ma quello più strillato nei titoli è “In Italia ci sono due milioni di bambini poveri”. Seguono altri concetti più o meno allarmistici. Siccome sono abituato al maldestro sensazionalismo dei giornali italiani, e siccome due milioni di bambini poveri fanno piuttosto impressione, mi leggo le paginate cercando di capire esattamente di cosa si parla. Ma non ci riesco: gli articoli esprimono risultati vaghi e sommari (scopro poi che sono rimasticature della sintesi per la stampa di quattro pagine di una ricerca che invece ne occupa centinaia, ma nessuno ha letto). Anche capire cos’è un “bambino” e cos’è un “povero” è praticamente impossibile: sul Corriere trovo almeno un boxino che spiega che l’indagine è stata compiuta su un campione di 6276 tra bambini e ragazzi, con i bambini definiti tra i 7 e gli 11 anni. Ma come si definisce “poveri”, non si riesce a sapere. Due milioni sono tanti, non è che si può scrivere “due milioni di bambini di poveri” così a cuor leggero. Altrettanto confusi sono altri dati: mi colpisce il solito minaccioso “51%” di bambini che possiedono un telefonino: sarà anche vero, ma a me sembrano troppi, vorrei saperne di più (anche il 78% dei minori che a Napoli avrebbe un coltello – malgrado quel che si sa di Napoli – non mi convince del tutto).

Alla fine chiamo l’Eurispes, che sono molto gentili. Parlo diffusamente con il vicedirettore, professoressa Elisabetta Santori, e con la dottoressa Carla Graziani che si è occupata della ricerca. Mi dicono che i giornali hanno esagerato e che “bisogna sfatare la notizia per cui in Italia ci sono due milioni di bambini che non hanno da mangiare”: che peraltro era la notizia, sui giornali di sabato. E così, con calma e pazienza delle mie interlocutrici capisco quello che segue.

L’Eurispes ha diffuso presso i 6276 un questionario, e ha tirato le fila delle risposte all’interno della sua ricerca, con dettagli sul rappoorto con la tv, con gli SMS, e altro. Punto. La questione dei bambini poveri non c’entra niente con questo: è una “stima” compiuta “elaborando” dei dati Istat già esistenti. Praticamente all’Eurispes hanno preso una serie di dati già noti e li hanno combinati e confrontati per cercare di ottenere una stima plausibile sulla povertà infantile. Nessuna nuova inchiesta, nessuna nuova notizia, nessuna scoperta degli ultimi tempi: una stima – rispettabilissima – basata su dati noti e pubblicati. Come dire che “l’Inter non segna da dieci anni tra il trentaduesimo e il quarantaquattresimo” (faccio per dire): è una considerazione interessante, ma non è un fatto nuovo, bastava fare i conti. E questa è la prima cosa, La seconda cosa è che quei due milioni sono “minori”, cioè tra gli zero e i diciotto anni (a questa fascia si riferiscono infatti i dati Istat: la fascia 7-11 ha invece solo a che fare con il questionario Eurispes). La terza cosa è che nessuno, nemmeno all’Eurispes, ha fornito un dato su cosa rappresentino in percentuale quei due milioni: ma me lo sono trovato da solo, in Italia ci sono quasi dieci milioni di minorenni, quindi il 20% sarebbe povero. La quarta cosa è finalmente la definizione di povertà: mi spiegano che esiste un concetto statistico di “povertà relativa” (diverso dalla “povertà assoluta”) in cui si definisce povero un nucleo familiare applicando un coefficiente alla sua dimensione e a uno standard – variabile di anno in anno – di spesa mensile. Per capirsi, in base a questo criterio una famiglia di due persone oggi in Italia si definisce povera se non spende più di 846 euro al mese. Se le persone sono tre, il tetto è di circa 1100 euro, se sono quattro 1350, e così via. Non sono evidentemente cifre notevoli, e una famiglia con questo tetto di spesa non se la passa di certo bene: ma è una definizione un po’ meno equivoca di “povero”.

Mi informo anche sui telefonini e mi spiegano che quello è un dato che risulta in realtà da un’indagine del 2003, che è stato integrato nella presente ricerca per completezza. Probabilmente era stato già strillato nei titoli l’anno scorso, se andassimo a controllare. A questo punto sono troppo frastornato per ricordarmi di chiedere lumi sul 78% di minorenni napoletani con un coltello in tasca.

Repubblica.it

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