Ai confini della realtà

Libero alfin da conflitti di interesse familiari, vorrei dire una cosa o due sui reality show, cosiddetti.

La prima cosa è che i reality show non esistono: esiste un tipo di programmi in cui si osservano delle persone costrette a convivere per un periodo di tempo. Niente di questo ha a che fare con la realtà consueta, anzi le condizioni sono del tutto irreali. Nella realtà consueta quelle persone farebbero altro, frequenterebbero altri. In un certo senso è più un reality show Porta a porta che non L’isola dei famosi: nel primo i personaggi interpretano la loro vita quotidiana (Vespa compreso), nel secondo neanche per sogno.

Voi direte che è solo un nome come un altro, e avete ragione: ma spiegatelo a quelli che poi si indignano perché “è tutto finto”.

L’altra cosa, che tocca sempre ripetere, è che comunque li si chiami, sono un formato, un linguaggio, un mezzo: come i telegiornali, come i telefilm, come i libri, e come il cinema. C’è roba fatta bene e roba fatta male: e quella che funziona è la prima. Dire “il pubblico è stanco di reality show” dopo un flop di Carlo Conti è come dire che la gente è stanca del cinema dopo che è andato male un film con Boldi. Dire “odio i reality” è come dire “odio la musica operistica”: è lecito, ma un po’ superficiale. Di solito, chi lo dice non ha capito niente, della musica operistica.

Vanity Fair

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