È difficile trovare qualcosa di criticabile seriamente in Ballarò: anche le cose meno affascinanti – quei disegnoni sullo sfondo, per esempio – stanno dentro a un’idea complessiva che giova al programma. È probabile che uno studio più raffinato, più moderno, più eccitante, sarebbe indigesto al pubblico di un programma come quello e scomodo per i suoi ospiti e la necessità di metterli a loro agio. Floris è molto bravo, e lo è diventato sempre di più facendo finta all’inizio di essere uno che non dava fastidio a nessuno, o lasciando che lo credessero. Avranno detto: qualche talk show di politica che sembri onesto andrà pur fatto, mettiamoci ‘sto Floris – ‘sto chi?, ha risposto un altro – non lo nota nessuno, e salviamo non la faccia – trovala, ormai, la faccia… – ma almeno ci leviamo qualche seccatura.
Adesso se lo tengono, ha fatto pure lo scoop di Berlusconi, e sembra di sentirli: sai che forse era meglio Santoro?, che almeno potevamo dire che raccontava balle: questo non si fa beccare mai.
Insomma, è venuto fuori un programma quasi perfetto, nel suo genere. Ha una cosa intollerabile, però. Gli applausi. Un programma serio, che pretende di discutere seriamente sulle cose, e non di fare a gara a chi le dice più grosse, non dovrebbe abbassarsi a far applaudire i dibattenti, manco fossero da Biscardi. Gli applausi a sottolineare la discussione sono il passo prima del pendolino di Mosca. Serviranno a qualcosa di televisivo, mi spiegherà qualcuno: ma sono davvero imbarazzanti.
Vanity Fair