Si dice spesso, a proposito della mediocre qualità media dei programmi televisivi, che sia tutta colpa dell’Auditel. Soprattutto per quanto riguarda la Rai, chi dice questo ritiene che l’asservimento dei palinsesti alle ragioni dello share e degli inserzionisti sia eccessivo e rimuova anche i più saltuari criteri di qualità nella produzione di nuovi programmi. Chi dice questo ritiene che la Rai, se restituita al suo fine di servizio pubblico – almeno per una parte della programmazione – potrebbe liberarsi dall’ansia del mercato, e dall’ansia di prestazione nei confronti del pubblico più depravato (la maggioranza, evidentemente), e occupare il palinsesto con trasmissioni ricche di contenuti, moderne, innovative, istruttive, in una sola parola, belle. Se non fosse per l’Auditel.
In realtà è il contrario. Le necessità di mercato, le pressioni della pubblicità, l’esame del pubblico – per quanto bue – sono per la Rai di oggi l’unico legame con un criterio di risultato, per quanto quantitativo invece che qualitativo. Lasciata al solo discernimento dei dirigenti la programmazione Rai andrebbe incontro a una lottizzazzione per bande assoluta e senza scrupoli. Un’oligarchia della marchetta – che già si dà da fare quanto può – prenderebbe possesso anche degli ultimi cinque minuti notturni di palinsesto per affidarli al più improbabile dei suoi scherani.
Ringraziate il cielo, che c’è l’Auditel
Vanity Fair
Potrebbe piovere
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