Da domani, ognuno per sé

Il risultato dei referendum si offre a un milione di considerazioni: cerco di scartare quelle più ovvie e già diffuse, e comincio con le altre. Partono tutte dall’assunto – derivato dai numeri – che a vincere non sia stato tanto l’astensionismo militante (che pure vince, ci mancherebbe) quanto l’astensionismo pigro e chemmefregammé.

Una, è che una percentuale di astensioni di questa dimensione sia quasi rassicurante. L’idea che questa legge fosse un disastro per il bene delle persone e delle famiglie ne viene ridimensionata. Se le persone stesse non lo sentono tale, chi siamo noi per decidere quale sia il loro bene? Resta quella minoranza che al proprio bene ci teneva, ma la democrazia del maggioritario non tutela molto le minoranze.

Un’altra, è che la famosa frase di Moretti assuma finalmente un senso e un nuovo significato: “Con questi qui non vinceremo mai” si riferiva non ai pretesi leader di centrosinistra ma ai pretesi elettori di centrosinistra.

Un’altra, è che la vittoria di Berlusconi l’anno prossimo non si mostri più così improbabile. La convinzione che una vittoria elettorale derivi dai fatti, dalla qualità delle tue scelte, dalla sostanza delle cose è andata persa con questo weekend referendario. Gli elettori non si comportano in base a questi criteri, ma ad altri più insondabili. Questa è la modernità, come dice Massimo Franco sul Corriere di oggi.

Un’ultima, per ora, imbarazzantemente solenne e letteraria è che chi si occupa di politica in Italia – sia ministro, attivista locale o giornalista – e si sia speso in questa campagna pensando che il bene delle persone fosse l’abolizione di quei quattro articoli della legge 40, vede oggi di fatto rifiutato questo suo impegno. Non gliene fregava niente a quasi nessuno. Da domani, ognuno per sé

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