Nient’altro da dire

Che Soncini capisca poco di televisione è dimostrato dalla rotonda smentita – stamattina – di una ennesima fesseria che aveva scritto una settimana fa. Ma del resto del mondo – malgrado certe difficoltà a starci – qualcosa capisce più degli altri:

“Facessi la cronista, comincerei coi fatti. Giovedì sera si sono svolte le primarie del centrodestra. Silvio Berlusconi è stato eletto plebiscitariamente da 11 milioni seicentoquarantanovemila votanti. La campagna elettorale ha battuto sul tasto del “solo io posso salvarvi dai comunisti”. Geniale, seppure non nuova, l’idea degli spin doctor Diego Cugia e Carlo Freccero di mostrare agli elettori il paese senza Silvio, la deriva che potrebbe prendere, tra poveraccismo e una-volta-qui-era-tutta-campagna. Decisivo, per il trionfo di Berlusconi, il ritorno in video di Michele Santoro. Hanno ragione loro. Quando undici milioni e spicci di persone guardano una cosa inguardabile, e la guardano per tre ore, la guardano senza stancarsene e far crollare la curva d’ascolto come avevi pronosticato davanti al televisore, quando l’effetto-attesa non basta a spiegare, perché se fosse solo quello allora dopo la prima ora lo share sarebbe crollato, Santoro ormai era andato e il resto era tutta campagna – ecco, quando succede una cosa così, non è che puoi appellarti al fatto che la maggioranza è composta di cretini. Devi ritirarti in buon ordine, accettando serenamente che non capisci un cazzo di televisione né di mainstream, e che hanno ragione loro. Cugia. Freccero. Celentano. Hanno ragione loro, che fanno recitare a Depardieu la più abusata delle poesie (assieme a “If” di Kipling), e gliela fanno recitare in italiano, e quello è talmente impegnato a fare l’ispettore Clouseau che sembra non capisca cosa sta leggendo. Hanno ragione loro, che fanno la loro brava gag sulla classifica della libertà di stampa, e talmente ci credono che la rimarcano con un tizio in prima fila, e vorrei fare un sondaggio fra gli undicimilionieccetera per sapere quanti sanno che quello è Meocci, quanti sanno che Meocci è il direttore generale della Rai, quanti hanno capito le tropperrime battute su Del Noce, quanti avevano seguito la polemica. (Subito dopo, c’era Vespa, con una notevole Palombelli praticamente nuda, e anche Vespa era tutt’un ammicco a Mentana e santa pace telefonatevi a casa, sfidatevi a duello dietro al cimitero, rigatevi le fiancate delle macchine ma perlamordiddio non assillateci su Rai1 con querelle buone al massimo per una fanzine per iscritti all’Ordine dei giornalisti). Hanno ragione loro, anche se ospitano un Ligabue così concentrato sulla prossima canzone, quella che farà pubblicità al suo nuovo disco, così intrinsecamente promozionale, da non avere neppure la prontezza, quando Celentano dice “Il Papa è rock”, di rispondere “Ruini è lento”. D’altra parte, in un programma che si prende così sul serio, mica toccherà proprio a Ligabue l’annoso compito di quello dotato di senso dell’umorismo. E in fondo Ligabue è premessa e complemento di Rockpolitik: il concerto che Luciano Ligabue ha organizzato in un hangar aeroportuale, unico e irripetibile e pensato in modo da essere EVENTO e che molte più decine di migliaia di fan del solito avessero l’occasione di andare a omaggiare il mito, beh, quello altro non era che il progetto di un uomo determinato a costruire un monumento a se stesso. E Rockpolitik è la stessa roba. Celentano è la stessa roba. Uno che fa un programma ogni tre anni – e sarebbe noioso ripetere come il segno della crisi della tv italiana stia proprio nell’affidarsi mani e piedi a gente che scende fra di noi per mezza dozzina di puntate al biennio; che la televisione per sua natura è quello che c’è ogni giorno, non quel che accade ogni tanto; che fare le seratone con milioni di euro di budget e poi sottrarsi finché nostalgia non attanagli lo spettatore è troppo facile; che gli eroi non sono Celentano o Fiorello, gli eroi sono Vespa, Ricci, Fabrizio Frizzi; uomo di tv non è Santoro che esige “Io voglio il mio microfono”, è Magalli che ha troppo senso del ridicolo per farlo. Era questo, alla fine, il maggior pregiudizio nel mettersi a guardare Rockpolitik (anche se nessun pregiudizio sarebbe bastato a rendere il programma così insopportabile come si è poi rivelato): la costruzione di un evento. L’attesa. Il fatto che si dovesse guardare Celentano, giovedì, che non fosse possibile avere altri impegni, fosse sacrilego pensare di non guardare la tv e ancor più guardare la tv guardando altro che non fosse ILCASO. Non si diventa “un caso” a tavolino. Si diventa un caso quando milioni di persone sono avvinte da te e finiscono per guardarti cambiando i piani che avevano fatto, non quando sei un appuntamento che non si può bidonare pur avendone voglia, come il pranzo di Natale. Almeno, questo pensavo fino a giovedì. Poi, ieri, sono arrivati i dati. Mi piacerebbe dire che il quaranta per cento dell’Isola, di un programma che come premessa tutti schifano, vale di più del quarantasette di Celentano, un programma che tutti attendono – ma sarebbe un triste tentativo di arrampicata sugli specchi. Sarei tentata di dire che se undici milioni di italiani guardano Celentano significa che trentanove milioni fanno altro, ma sarebbe un’obiezione da critico de sinistra, di quelli che innanzitutto odiano la televisione. Mi piacerebbe che non avessero ragione loro, ma ce l’hanno. Guia Soncini”

Il Foglio

Abbonati al

Dal 2010 gli articoli del Post sono sempre stati gratuiti e accessibili a tutti, e lo resteranno: perché ogni lettore in più è una persona che sa delle cose in più, e migliora il mondo.

E dal 2010 il Post ha fatto molte cose ma vuole farne ancora, e di nuove.
Puoi darci una mano abbonandoti ai servizi tutti per te del Post. Per cominciare: la famosa newsletter quotidiana, il sito senza banner pubblicitari, la libertà di commentare gli articoli.

È un modo per aiutare, è un modo per avere ancora di più dal Post. È un modo per esserci, quando ci si conta.

Abbonamento mensile
8 euro
Abbonamento annuale
80 euro
E allora: le World Series!