Vizi pubblici, private virtù

Per una serie di accidenti su cui chiedo indulgenza, ho passato alcuni secondi a pensare al caso dell’adulterio di Amedeo di Savoia raccontato dal protagonista a Vanity Fair. E alla contraddizione nei miei pensieri tra il ritenere che Amedeo e chiunque altro abbiano diritto ad avere delle amanti senza la riprovazione della società o di una morale comune, e il pensare che uno che tradisce la moglie è uno stronzo. Cioè, a una distanza tra la morale pubblica e la morale privata. Ho, per esempio, la stessa coppia di opinioni sull’uso delle droghe: penso che uno che si fa di cocaina non debba essere disegnato come un mostro immorale dalla nostra cultura, e che sia suo diritto fare quello che vuole fino a che non fa male al prossimo. Ma penso anche che uno che si fa di cocaina sia un po’ coglione.

Cioè, appunto, una distanza tra la morale pubblica e la morale privata. Ovvero quello che si è a lungo combattuto e ancora si combatte nelle nostre società, un’ipocrisia bacchettona: sono come i preti che predicano castità e astinenze e poi fanno l’amore con certi bei ragazzi? Sono come i deputati che chiedono giustizialismo e severità morale e poi li beccano a portarsi a casa la cassa o a portarsi al motel la ragazza?

In un certo senso sì, ma all’opposto: nel senso che io penso che la morale privata debba essere più rigida e critica di quella pubblica, e non il contrario. Che il nostro giudizio personale – in quanto personale e libero – si possa permettere maggiori intolleranze (vi abbia diritto, anzi) che non quello vigliacco, prepotente e pericoloso della comunità.

L’ipocrisia andrebbe rivalutata: spesso è una forma di buona educazione, o di rispetto.

Poi mi sono messo a pensare ad altro.

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