I did it my way

(Il resto della conversazione con Primo Greganti va in onda stasera su NessunoTV)

Camminiamo per le strade di Torino ingombre di cantieri ancora aperti, nei giorni in cui si aprono le Olimpiadi. “Guarda che alla fine hanno fatto un buon lavoro. E soprattutto questa cosa delle Olimpiadi ha sganciato la città dalla dipendenza dalla Fiat. Quando qualche giorno fa è arrivata la notizia che la Fiat era tornata a produrre utili, è stata una buona notizia, ma la città ha potuto riceverla come se non fosse l’unico suo pensiero”. Sarà, ma io vedo ancora un gran casino di opere da finire. “Succede sempre, per eventi di questo genere. Ma ti ripeto che complessivamente la città ha sfruttato bene l’occasione, hanno fatto un buon lavoro”.

Detto da Primo Greganti, uno che ha passato la vita a costruire, progettare, mettere in piedi cose, si trattasse di un’officina meccanica, una festa de l’Unità o un’autostrada in Cina, il giudizio è lusinghiero.

Primo Greganti ha tredici anni di più, meno capelli, somiglia un po’ a Mel Brooks, e per il resto è uguale a come ce lo ricordiamo, associandolo a quel nomignolo ginecologico inventato dall’eccitazione mediatica dei tempi di Tangentopoli, “il compagno G”. Sa un sacco di cose, si occupa per spontanea passione e curiosità delle cose del mondo, della politica, dell’attualità, delle vicende internazionali, in attesa di poter tornare a occuparsene più praticamente. Visto che oggi, nel 2006, a tredici anni da quando si presentò ai magistrati per chiarire ciò che i giornali avevano fatto circolare sul suo conto, e quelli lo tennero dentro per tre mesi fino all’ultimo minuto della carcerazione preventiva, Greganti sta ancora scontando una condanna a tre anni, divenuta esecutiva nel 2004. “Sono in affidamento, su decisione del tribunale di Milano. Significa che non posso abbandonare la provincia di Torino e non posso lasciare la casa dove vivo tra le nove di sera e le sette di mattina”. Di giorno, fa il volontario per un’organizzazione che si occupa del disagio giovanile; di notte, sta a casa e dorme tra un controllo dei carabinieri e l’altro. E intanto segue il mondo, a cominciare dalla Cina con cui ha lavorato a lungo prima di finire nei guai.

“Si dicono tante fesserie, sulla Cina, e sull’India: i dazi, la tutela delle nostre merci, sono tutte problematiche secondarie. Noi continuiamo a restare degli incompetenti che pensano di affrontare queste cose con delle iniziative di altri tempi. Siamo in una fase di globalizzazione. Non possiamo pensare di tener fermi tre miliardi di nuovi consumatori e produttori con i dazi. Noi, cinquanta milioni di persone. Oltre al fatto che sarebbe profondamente ingiusto, non ha senso. Bisogna rivedere tutto il sistema dei nostri bisogni e consumi. Non è possibile che noi pensiamo ancora a fare la guerra ai calzini che arrivano dalla Cina, che peraltro sono gli unici che i nostri pensionati, con 418 euro al mese, si possono permettere”

Per strada lo salutano, e ancora riceve espressioni di stima a affetto. Greganti uscì dal confronto con i giudici milanesi con l’immagine unica tra gli accusati di quel tempo di uno che non aveva voluto cedere, non aveva voluto confessare niente in cambio della libertà, non si era fatto intimidire. Per molti fu una dimostrazione di serietà e orgoglio, per altri di attaccamento al partito comunista che secondo l’accusa era stato il destinatario di tangenti passate per le sue mani. “La differenza tra me e gli altri coinvolti in Mani Pulite è che io ero innocente, e quindi la mia difesa si avvaleva di un privilegio: io ho difeso e documentato la mia innocenza. La tesi dell’accusa è naufragata al punto che la Parenti ha cambiato mestiere. E non poteva che essere così, i fatti erano quelli”

Lui sostenne che quei soldi erano tutti compensi del suo lavoro di consulente e imprenditore, sfidò i giudici a provare il contrario, e quelli non ci riuscirono. Poi uno di quelli gli aveva dato quei soldi cambiò versione e lo fece condannare per corruzione: “Corruzione. Senza che sia mai stato un pubblico ufficiale”.

Il suo nome è tornato in ballo durante le recenti vicissitudini di Unipol e le discussioni sul ruolo dei Diesse nella scalata alla BNL. E siamo daccapo sulla solita questione: si può dire che tra il PCI/PDS e i partiti di governo allora affondati dalle inchieste sulla corruzione, ci fosse una differenza, o anche voi eravate coinvolti – nella misura che vuoi – in un sistema di finanziamenti illeciti?

“La cosa più immorale che avveniva nel PCI è che parte del finanziamento avveniva non pagando molti dipendenti del partito che facevano fatica ad arrivare a fine mese. Se siano arrivati attraverso pubblicità sui giornali o altre vie, soldi in maniera illecita, io non l’ho mai saputo. E finchè mi occupavo del finanziamento del partito non ho mai visto soldi di questa provenienza. Anzi, gli altri ci hanno sempre rimproverato di aver fatto troppe denunce pubbliche e giudiziarie su cose di questo genere”.

Quindi esisteva questa differenza morale nella gestione del partito?

“Non c’è dubbio. Ma è una differenza che non mi interessa, perché il 90% degli elettori del PSI erano persone serie e perbene, come quelli della DC. Semmai sono alcuni loro dirigenti che li hanno traditi, sono responsabilità individuali: non si criminalizza un partito”

E oggi, è tutto limpido nell’intervento dei DS sull’affare Unipol-BNL?

“I partiti si devono occupare dell’economia, e in particolare – in questa fase – della finanza. Del modo in cui vengono finanziate le attività produttive. È un’assurdità sostenere che un partito non debba occuparsi di queste cose”.

Già, il punto è cosa voglia dire occuparsi. E fare il tifo?

“È il sistema bancario italiano che è malato e vittima di politiche sbagliate: ha difeso l’italianità e non ha consentito alle nostre banche di diventare competitive. In nome di questa disastrosa debolezza, il consentire ad attività produttive vere – non speculative – come le cooperative di avere accesso al risparmio, è un problema che i DS si devono porre, e hanno fatto bene a porsi. E l’operazione BNL andava in questo senso. Che poi Unipol la concludesse, dipende dagli organismi di controllo sul rispetto delle regole. Ma quella era un’operazione su cui anch’io ho fatto il tifo. Era giusto, fare il tifo”

A rischio di non essere più “diversi”?

“La diversità ce la riconoscono gli altri, nel fare questa campagna su Unipol. Le strumentalizzazioni dipendono dal sapere che la nostra base popolare è eticamente sensibile a queste cose. E questo ci-fa-onore”

Anche tu ti sei sentito tradito dalle accuse nei confronti di Consorte e Sacchetti?

“Noi non sappiamo ancora cosa sia successo. E le cooperative hanno fatto bene a rinnovare la dirigenza di Unipol, per evitare situazioni imbarazzanti. Ma attenti che in questo paese per consulenze finanziarie si muovono decine di milioni di euro tutti i giorni. Chiedetelo a molti che stanno nel presente governo, per cui l’arricchimento invece è venduto come un successo. Se si arricchiscono a sinistra, invece è sbagliato? Meglio aspettare che siano definite le cose”

Difendi ancora il partito…

“Guarda che io il partito l’ho difeso solo perché difendevo me stesso, e le due cose coincidevano. Nessuno può dire che io abbia detto il falso, e la mia forza veniva da questa certezza. Non sono mai caduto in depressione, non mi sento uno sconfitto, mi sento un vincente”.

“Ce le hanno suonate ma gliele abbiamo cantate”…

“Va bene. Ma anch’io ne ho suonate: ho una sentenza di due mesi fa che condanna Il Giornale e Vittorio Feltri a pagarmi 72mila euro per aver scritto articoli falsi. Non lascio passare tutto”.

Sei ancora iscritto al partito?

“No. Uno che abbia avuto una vicenda giudiziaria come la mia, e tanto più che sconta una pena, è meglio che non alimenti dei sospetti”

E i responsabili dei DS li senti, vi chiamate?

“No, non ci cerchiamo, solo se ci vediamo scambiamo volentieri quattro chiacchiere. Poi sto attento a non mettere l’interlocutore in imbarazzo”

Hai l’impressione che possa capitare?

“No, è una cosa mia. Ogni tanto qualcuno mi chiede ‘dove l’ho vista?’ e io rispondo ‘sono-Greganti-quello-condannato-per-finanziamento-illecito-dei partiti’”

Ti occupi ancora di carcere?

“Dove lavoro ho a che fare anche con molti ragazzi che sono stati in carcere. Ma il carcere è una vera e propria fabbrica di delinquenti”

E di Mani Pulite cosa pensi, oggi?

“A Mani Pulite vanno riconosciuti i pregi di aver indagato sui potenti, per la prima volta, e dei difetti tra cui il principale è stato l’uso un po’ garibaldino della carcerazione preventiva: che insieme a notizie vere e utili ha spesso ottenuto dichiarazioni false che consentissero alle persone di uscire dal carcere”

Il prolungarsi della detenzione di Fiorani sta in questo uso, secondo te?

“Guarda, le persone coinvolte in una vicenda giudiziaria subiscono un trauma, loro e le loro famiglie, per cui meritano solidarietà. E ci sono sicuramente abusi dell’uso di carcerazione preventiva, ma in questo caso non ne so abbastanza. Ma il pm Francesco Greco mi è sembre sembrato tra i meno protagonisti, ai tempi del pool”

Greganti ha appena compiuto 62 anni, e sta per diventare nonno. Vive con la sua seconda moglie e con la sua seconda figlia ventunenne, che non l’hanno mai visto tanto a casa come da quando vi è costretto dalla sentenza di condanna. Gli chiedo cosa desideri fare appena sarà libero, tra un anno.

“Io ho fatto un sacco di cose, nella vita, e sono contento di averle fatte

Vanity Fair

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