In questo sabato qualunque, un sabato britannico

Tolto il tempo necessario a estrarre la macchina da un metro di neve e a fare a pallate con gente che ha quasi quarant’anni meno di te, il sabato offre una buona chance di smaltire le letture arretrate. In un solo numero del Guardian, di lunedì scorso, ho trovato i seguenti.

– Un articolo sul boom delle serate Guilty Pleasures in un locale di Camden e in molte discoteche della nazione. Per capire di cosa parliamo, alcuni miei coetanei possono riandare con i ricordi a quel momento in cui cominciarono a proliferare – nelle discoteche abitualmente dedicate allo sfinente avvento della techno – notti in cui la playlist era improntata all’ammiccamento spiritoso e trash verso i ricordi più sbilenchi della nostra giovinezza musicale. Si ballava sui tavoli al ritmo di “sciogli le trecce e i cavalli”, “si trasforma in un razzo missile” e tutto il repertorio dance dei primi Settanta. Boccate d’ossigeno per chi aveva cominciato a frequentare le piste ballando musica che era la stessa che poi sentiva in macchina. Una cosa del genere sta avvenendo nell’Inghilterra sfinita dal clubbing e in crisi creativa.

– Una breve che racconta del progetto per una cuccia per cani a cui si sta dedicando Frank O. Gehry. Due cucce, a essere esatti: a Las Vegas. Progetto ancora da definire. “devo prima incontrare i cani”, ha dichiarato l’architetto.

– La dichiarazione di sir Trevor Phillips, capo della commissione per l’uguaglianza razziale in Gran Bretagna, per cui “alcune minoranze devono accettare che ci sono delle cose su cui qui siamo tutti d’accordo, e che riguardano la democrazia, il risolvere le questioni col voto e non con la violenza, e la tolleranza per cose che non ci piacciono. Abbiamo la libertà di espressione: permettiamo alla gente di offendersi reciprocamente. Abbiamo delle leggi, e questo chiude ogni questione: chi ne vuole di diverse, è meglio che vada a vivere altrove”

– Un duro commento di Jackie Ashley sulla sentenza di sospensione nei confronti del sindaco Ken Livingstone. Che mi permette di aggiungere – non ne avevo scritto niente, e mi pare ci sia stata una colpevole vaghezza quaggiù – che quella sentenza è una cretinata antidemocratica e autoritaria che getta del ridicolo sull’interventismo giudiziario nei confronti della libertà d’espressione, indipendentemente da come questa si manifesti (tra l’altro, il caso, era del tutto risibile)

Guardian

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