Relazioni

Quando facevamo Otto e mezzo, io chiesi per tempo a Massimo D’Alema di venire una sera, un lunedì, quando ci dedicavamo a un ospite solo. Ci sentimmo un po’ di volte e alla fine ci mettemmo d’accordo. Gli dissi che non temesse aggressioni e che era il benvenuto per tutti, lui mi disse alla sua maniera che non temeva niente. Giuliano Ferrara, che era stato discretamente estraneo ai nostri contatti, pubblicò la mattina di quel lunedì – sul Foglio dei Fogli – un attacco inatteso, spietato e personale nei confronti di Giorgio Napolitano, che anticipava pesantemente le cose che il direttore del Foglio torna a dire – appena più lievemente – in questi giorni sul nuovo Presidente della Repubblica.

Con qualche imbarazzo per questa accoglienza, chiamai D’Alema, che confermò che sarebbe venuto (alcuni suoi colleghi di partito gli suggerivano di rinunciare) ma disse che non avrebbe lasciato passare quell’insulto personale e grave a Napolitano. Io provai a dissuaderlo, avendo cara la possibilità di discutere di altro nel poco tempo della puntata.

Alla fine D’Alema arrivò, molto incazzato. Nella stanzetta dove ci intrattenevamo brevemente con gli ospiti prima di andare in studio, disse a Ferrara cose indignate e sdegnate. Ferrara gli rispose, senza arretrare e rincarando. Alzarono la voce. I due o tre che c’erano, ancora se lo ricordano. Poi andammo in onda, sfogati ma con una certa tensione. D’Alema volle dire ancora la sua in difesa di Napolitano. Ferrara abbozzò. Io me ne andai con l’impressione che tutta una storia di anni avesse prevalso sulla mia ingenua pretesa di fare una buona puntata di Otto e mezzo

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