Pigliate ‘na piastrella

Avete presente quelle piastrelle che si vedono esposte in certe botteghe di provincia, in certi distributori di benzina, in certi baretti mai rinnovati? Quelle cornicette da appendere che recano iscrizioni come “Per colpa di qualcuno non si fa credito a nessuno”, o “Dopo lunga sofferenza, è morto lo sconto”. O altre facezie dedicate al sesso femminile e a ogni luogo comune possibile. Bene.

Bene. Io mi sono fatto fare una piastrella da un amico mio, che fa dei lavoretti di ceramica e poi cerca di venderli nei mercatini. E l’ho appesa in bagno, accanto allo specchio. Ogni mattina, mentre mi lavo la faccia e mi faccio la barba, butto un occhio sulla piastrella. Mi lavo la faccia e mi faccio la barba con la radio accesa, e sento il giornale radio, o la rassegna stampa di Radio Radicale. Per esempio, la radio dice che il ministro Fioroni ha spiegato che i PACS devono restare fuori dal programma di governo, e io guardo la piastrella. Oppure, la radio riferisce di un’intervista della Zeit a Prodi in cui lui spiega che se cade lui il centrosinistra è spacciato, e io guardo la piastrella. O ancora, la radio racconta che alcuni deputati del centrosinistra hanno attaccato la scelta dei titoli di apertura del telegiornale la sera prima, e io guardo la piastrella.

Sulla piastrella ho fatto scrivere, dall’amico mio: “Non abbiamo più un governo Berlusconi”. Sembra una cosa ovvia, un promemoria inutile e sciocco, come quelli delle piastrelle più popolari, come “Prima di aprire la bocca ricordarsi di collegare il cervello” (piastrella di cui suggerirei una fornitura per decorare i corridoi di Palazzo Chigi). Invece, è un promemoria fondamentale, che se no uno se lo dimentica.

Te lo dimentichi, che per un soffio non abbiamo avuto altri cinque anni di Giovanardi-Castelli-Gasparri-Calderoli-Landolfi. Come tutte le cose brutte della vita, rimuovi, per necessità psiconanalitica. Oppure per quell’umano tic che non ti fa godere delle cose a lungo attese. “Non abbiamo più un governo Berlusconi”. Mica tanto solo per lui, poverino. Ma scrivere “Non abbiamo più Giovanardi-Castelli-Gasparri-Calderoli-Landolfi” non ci stava sulla piastrella. Ce ne voleva una di quelle grandi, di graniglia, che poi magari si rompeva il chiodino e mi cadeva sullo specchio, sette anni di guai, ovvero la durata di una presidenza della Repubblica, non so se mi spiego. “Non abbiamo più un governo Berlusconi” va benissimo: si capisce il senso. Non abbiamo più quelli della legge Gasparri, del sopruso scellerato della legge sulla fecondazione assistita, delle balle sul digitale terrestre, non abbiamo più uno che sostiene di essere stato violentato a gestire le carceri. Non abbiamo più la maglietta di quel disgraziato. Non abbiamo più quelli che dicono che Marco Biagi “era un rompicoglioni”. Non abbiamo più una maggioranza che ha come pensatori di riferimento Oriana Fallaci e l’avvocato Taormina. Non abbiamo più una classe politica imbarazzante al potere.

Dice: ma abbiamo Di Pietro. Dice: abbiamo un governo, che in alcuni dei suoi ministeri pare occupato da una ciurma di ubriachi. Dice: e ci sono milletrecentotredici sottosegretari (dategli un altro paio di settimane, e vedrete). Dice: Bertinotti è andato alla parata del 2 giugno con la spilletta pacifista. Dice: escono due interviste di ministri al giorno. Dice: Rosy Bindi ha sostenuto che nell’articolo della Costituzione sul matrimonio si faccia riferimento a uomo e donna (sbagliato: si parla di “coniugi”). Dice: sono al governo da un mese e la cosa di cui si stanno occupando con più dispendio di tempo ed energie è il “partito democratico”. Dice: hanno fatto sottosegretario allo sport uno che ha detto subito che nel mondo del calcio ci sono troppi “conviventi” e che quello che sta succedendo è poco “edificabile”. Dice: hanno portato in parlamento uno che si è venduto al nemico appena ha potuto diventare presidente della Commissione Difesa. Dice: sui ministeri alle donne sono stati pessimi. Dice: tutte le cose che dice John Foot, su Internazionale. È tutto vero. Avete ragione. Potrei dirvi che me l’avete raccontato voi che bisognava sorbirsi la scelta pigra e pavida di ricandidare Prodi, che bisognava deglutire tutte le componenti capricciose e mediocri del centrosinistra, che a questo giro bisognava rinunciare a un paese moderno e progressista e a un governo capace e nuovo. Potrei dirvi che me l’avete detto voi che l’unica cosa che contava era “battere Berlusconi”. E che quindi ora raccogliete ciò che avete seminato. Ma sarei scorretto, e maramaldo. Perché in effetti non abbiamo più un governo Berlusconi. E vi do un consiglio: vi serve una piastrella.

Internazionale

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